Tra eros ed eccessi - I 10 film erotici che hanno fatto la storia del cinema
Stare seduti nascosti al buio, guardare le immagini che l'obiettivo, intrufolato oltre le porte chiuse, ruba ad attori compiacenti. La posizione dello spettatore ha sempre qualcosa di voyeuristico, se poi si tratta di un film erotico...
Ecco quindi dieci pellicole dal sapore piccante che si sono ritagliate per vari meriti e curiosità un posto nella storia del cinema.
1933, un industriale austriaco cerca di far scomparire tutte le copie del film girato dalla moglie. Il motivo? Per la prima volta un nudo femminile integrale fa bella mostra di sé sul grande schermo. Le grazie sono quelle di Hedy Lamarr, l'opera si chiama Estasi e racconta di una giovane insoddisfatta dal marito anziano, volgare e tutt'altro che focoso. Eva lo lascia per un ritorno alla natura presso la fattoria paterna, dove incontra il suo Adamo con cui si abbandona alla liberazione delle pulsioni in un'atmosfera di sensualità bucolica.
Italia, primissimi anni settanta: scandali e censure. Nel 1972 esce tra forti polemiche Ultimo tango a Parigi: il famoso panetto di burro rappresenta l'apice del rapporto, solo carnale, tra Paul e Jeanne, privo di sentimenti e di nomi, in un appartamento che lascia il mondo fuori. “Esasperato pansessualismo fine a se stesso”, con queste parole il film viene ritirato dalle sale, a dimostrazione di come la censura abbia ben compreso il senso della relazione tra i protagonisti, troppo scomodo e da cancellare.
Il censore è già intervenuto l'anno precedente, ma per motivi diversi, nei confronti di un altro maestro del cinema italiano: Pier Paolo Pasolini, che trasferisce le novelle del Decameron a Napoli, per la prima parte della sua Trilogia della vita. Qui il sesso assume un significato gioioso: mentre fuori infuria la peste nera, le novelle celebrano la vitalità ingenua e innocente dei corpi, che si fa beffa della morte. Libertà eccessiva per l'epoca: pellicola sequestrata.
Un effetto collaterale del Decameron è il proliferare dei “decamerotici”, film di infimo valore ma di grande successo per un pubblico guardone. L'ambientazione medievale offre possibilità narrative, quali avvenenti nobildonne oppresse da cinture di castità, mariti gelosi ed ottusi, stratagemmi contadini e clero di dubbia moralità.
Tra tutti il celebre Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972), il cui livello poetico è interamente contenuto nella rima del titolo. La trama non è altro che una serie di pretesti per far spogliare Edwige Fenech e Karin Schubert, intervallati da gag piuttosto fiacche. Ma resta a suo modo un cult.
Nel 1974 arriva dalla Francia un altro notevole successo di pubblico, in confezione raffinata e patinata, Emmanuelle. L'immagine-manifesto di Sylvia Kristel nuda e svogliata su una sedia di vimini racchiude gli elementi del film: una giovane dagli occhi trasparenti, oziosa e insoddisfatta, che si apre alle emozioni offerte dal connubio erotismo-esotismo. L'attrice resterà poi imprigionata in un'inutile serie di sequel.
1975, Russ Meyer lo definisce “la sintesi di tutti i miei film”, è Supervixens: eccessivo e strabordante come le forme delle sue eroine, una sequela di scene di sesso e violenza tanto ingenue e inverosimili da risultare innocue, nel tipico stile cartoonesco del regista californiano, concluse da un significativo “That's All Folks!”. Pop e pulp.
L'anno successivo, a Cannes, i critici si entusiasmano per Ecco l'impero dei sensi, opera rigorosissima del nipponico Nagisa Oshima, che trae da una storia vera il tragico estraniarsi dal resto del mondo di due amanti in un susseguirsi ossessivo di rituali d'accoppiamento sempre più estremi, nel tentativo di impadronirsi letteralmente dell'altro. La macchina da presa aderisce ai corpi, mentre Thanatos, compagna di Eros, resta in agguato.
Ritroviamo l'eterno binomio Amore-Morte ne La legge del desiderio (1987), pellicola che decreta il successo in Italia dello stile trasgressivo ed eccessivo di Pedro Almodòvar, poi mitigato e maturato nel corso degli anni. Un intreccio di amori omosessuali impossibili ad altissimo tasso di passione, in cui ognuno è trascinato dalla legge che dà titolo al film, a partire dal protagonista Pablo, regista gay, evidente alter ego dell'autore.
Non è certo la sua opera migliore, ma è l'ultima (e Kubrick è sempre Kubrick), Eyes Wide Shut (1999). La coppia Cruise-Kidman viene messa a nudo, la solidità della loro relazione abitudinaria, scossa dall'esplorazione della trasgressione, reale o immaginaria che sia. Il sesso come apparenza, ma anche come turbamento, ritualizzato in una magistrale sequenza orgiastica con corpi privi di passione.
Per chiudere andiamo prima a Hollywood e poi torniamo in Giappone: non un intero film, ma tre sequenze leggendarie. Per la prima basta un accenno della voce di Joe Cocker, “Baby, take off your coat... real slow”, e subito si materializza l'immagine di Kim Basinger maliziosamente seminascosta da una tapparella: lo spogliarello più celebre del cinema, offerto agli occhi di Mickey Rourke. Stiamo parlando, naturalmente, di 9 settimane e ½ (1986).
Per la seconda, visto che lo spettatore è sempre un po' voyeur, ecco gli sguardi bramosi e i respiri sospesi dei detective che ispezionano l'accavallamento di gambe di Sharon Stone: il meglio di Basic Instinct (1992).
L'ultima scena è quella delle pratiche sadomaso di Ai (Miho Nikaido) in Tokyo Decadence (1991). Tratto dal romanzo Topâzu del regista e scrittore Ryu Murakami, la pellicola è un tuffo nei più estremi costumi sessuali nipponici, brutalmente mischiati allo squallore di una megalapoli in disfacimento.
