Intervista a Stefano Calvagna
Da Beverly Hills agli arresti domiciliari a Roma, da attore di fiction a regista e scrittore impegnato:Stefano Calvagna è un artista di altri tempi. Tempi in cui la vita privata, i valori e la cerchia di amici e conoscenti finivano inevitabilmente con il contaminare anche la vita artistica e la carriera professionale. Parlo con Stefano e mi rendo conto di quanto gli avvenimenti della sua vita lo abbiano pesantemente segnato e influenzato senza scalfirlo e senza togliergli l’entusiasmo e la capacità di fare film e di scoprire talenti. Lui che dai set di Hollywood dove impara a fare l’aiuto regista, finisce a montare le sue pellicole in una palestra romana perché è l’unico luogo dove può lavorare senza violare gli arresti domiciliari a cui viene condannato dopo una brutta storia personale e legale. Una forza e un coraggio incredibili conditi da una rabbia e una amarezza che Stefano Calvagna veicola ed esorcizza attraverso la sua arte e i suoi lavori come il film Rabbia in pugno e il libro Cronaca di un assurdo normale. Questa la sua intervista a NeroSpinto.
Stefano l’11 di luglio arriva nelle sale
Rabbia in pugno. Probabilmente il tuo
film più personale. Ce ne vuoi parlare?
“È un poliziesco. Anzi il classico poliziesco.
Il protagonista è un campione di arti marziali
che ha una compagna che desidera tanto fare
l’attrice. Viene contattata per un provino da un
personaggio losco e senza scrupoli in un locale
pubblico e qui, senza che lei se ne accorga le
viene somministrata la droga dello stupro.
Una droga che esiste davvero sul mercato delle
sostanze tossiche e che nella giovane compagna
del protagonista ha un effetto letale e la conduce alla morte.
A questo punto il suo compagno dà vita a una vendetta
Personale. Ma non dico di più. Bisogna andare a vedere
il film”.
Detto così sembra un film molto forte,
molto da maschi.
“In realtà è un film che si rivolge a tutti.
La storia non è incentrata solo sul protagonista,
le arti marziali o il suo desiderio di vendetta ma anche
sul mondo delle donne. Sulla loro fragilità e vulnerabilità.
Su una droga che può diventare un’arma pericolosissima
nelle mani di uomini senza scrupoli e che può portare
alla morte o a pesanti traumi per tante giovani donne”.
Rabbia in pugno è ambientata quasi tutta in una
palestra perché lei non poteva muoversi dato i domiciliari
e naturalmente con pochi soldi e con tanta buona volontà
da parte di tutti i suoi collaboratori. Come ci è riuscito?
“Beh, diciamo che ho preso il lato migliore
di tutta la faccenda e che la mia forza di volontà
ha fatto il resto. Polanski fece solo il montaggio
all’epoca dei suoi domiciliari in Europa, io ho
fatto l’intero film e tutto sommato non mi lamento.
Certo, avrei voluto avere più libertà, più mezzi, più soldi
ma i miei più che film sono piccoli miracoli.
Sono pellicole che hanno lo stesso budget di uno spot
o di un lungometraggio. Il pubblico gradisce lo stesso
e io sono soddisfatto ancora di più dei miei piccoli miracoli”.
Ancora un film con Alberto Tordi come attore e come
compagno di lavoro e di avventura. Deve credere
davvero molto in lui.
“E ci credo infatti. E non solo perché Alberto è un grande
professionista, un bravo attore e un artista capace ma perché
è un bravo ragazzo, una persona per bene.
Nel mio mestiere avere persone per bene con cui lavorare
e con cui condividere qualcosa è il primo passo per riuscire
a realizzare quello che si deve realizzare.
Io so che su Alberto Tordi posso contare e questo
mi tranquillizza e mi fa lavorare bene”.
Antonia del Sambro
