
ARIA: su RaiPlay la prima docu-serie sugli italiani durante e oltre il lockdown
“Aria” è la prima docu-serie sugli italiani durante e oltre il Lockdown, disponibile in esclusiva su RaiPlay a partire dal 29 dicembre 2020. Il tempo della pandemia e molto altro in un racconto a più voci dall’Italia e dal mondo a cura di Andrea Porporati, Costanza Quatriglio e Daniele Vicari insieme a Chiara Campara, Francesco Di Nuzzo, Flavia Montini, Pietro Porporati, Greta Scicchitano.
Questo progetto ha molto a che fare con noi, non solo perché racconta come persone comuni - e al contempo speciali nell’ottica che ognuno è unico - abbiano vissuto il primo lockdown, ma per come ci coinvolge, scegliendo di stare molto alla larga dalla facile retorica. I loro racconti così emozionanti, personali, sentiti trovano innegabilmente dei forti punti di contatto con ciascuno di noi, toccandoci alla pancia e/o al cuore perché tutti siamo stati (e purtroppo lo siamo ancora) toccati da questa situazione.
“Aria”: di cosa si tratta
«“Aria” è una docu-serie su alcuni italiani, sparsi in varie parti d’Italia e del mondo - dalla Cina al Kenya, dal Brasile alla Francia - visti attraverso la lente del tempo sospeso della pandemia. Persone che si raccontano dal loro punto di vista, grazie a smartphone, videocamere, mezzi di ripresa improvvisati. Donne e uomini comuni, ma speciali, ciascuno a modo suo, individuati dagli autori per la loro unicità. “Aria” è una docu-serie narrativa che in un arco di tempo di quattro mesi segue il percorso di queste persone divisi dal distanziamento sociale imposto dall’epidemia, ma uniti attraverso una tensione collettiva, questi ‘testimoni’ esprimono una resilienza spontanea dello spirito e del cuore, che gli permette di narrare le loro vite in un affresco disegnato dalle loro stesse mani. Come in un romanzo a più voci, ma nulla qui è fantasia. Sono tutte storie vere e nessuna è ancora terminata. “Aria” è il racconto di un’epoca più che la fotografia di un momento: il diario del 2020» (dalla nota ufficiale).
«L’aria in un’opera lirica è il momento in cui un personaggio esce dal contesto della Storia e canta al pubblico chi è e cosa sente veramente, la sua storia nella Storia. Qui la Storia è quella dell’Italia del terribile anno 2020, le storie sono quelle delle persone che la vivono sulla e sotto la propria pelle, nelle ossa, nel cuore», hanno aggiunto gli autori.
“Aria”: i protagonisti della docu-serie
«Inizio 2020. La pandemia di Covid19 sconvolge gli equilibri del pianeta. Greta Pesce (studentessa italiana in Cina); la famiglia Santonicola costituita da Gerardo Santonicola e sua moglie Marta Ribeiro (in Brasile col loro figlio piccolo); Daniele Sciuto e sua moglie Yasmin Genovese - lui medico, lei ostetrica e il loro figlio - (in Kenya); Angelo Patti, clown bloccato in una piazza di Caltanissetta; Costanza Savaia, giornalista ed attivista, vive a Savona, chiusa volontariamente in camera da prima del lockdown; Cristina Palma, volontaria della Croce Rossa Italiana; Simona Spinoglio, counselor di Casale Monferrato; Sibilla, Diana, Giulia e Francesco Nozzoli sono i membri di una famiglia divisa dalla pandemia tra Trento e Roma; Carlotta Zanlari e Fabio Caccin appartenenti all’equipaggio della Sea Shepherd; Margherita Carlini vive a Recanati e lavora allo sportello antiviolenza; il ristoratore Pasquale Cirillo; Lorenzo Baselice, Sarah Di Lorenzo, Sofia Esposito sono dei ragazzi dello 081 – Laboratorio di mutuo soccorso a Napoli; Romano e Martina Ceschini, sono padre e figlia gestori del Rifugio “Ai Caduti dell’Adamello” a 3040 metri di quota e Marcella Bouché, la quale ha vissuto la guerra da bambina e la confronta con la pandemia.
Ognuno di loro ci mostrano come le difficoltà, la speranza, l'avventura, la determinazione, la fantasia si mescolino in questa crisi straordinaria. La selezione di questi ‘testimoni dell’anno 2020’ è avvenuta durante le prime settimane del lockdown in Italia, nel mese di marzo, ad opera degli autori. Da aprile sono iniziate le riprese – auto-eseguite dai testimoni, in condivisione e costante contatto con il gruppo di lavoro di Aria. Sono proseguite fino a metà luglio in Italia, attraverso le cosiddette Fasi 1 e 2 e nel resto del mondo secondo le differenti ondate della pandemia nei continenti extraeuropei».
“Aria”: le qualità di questa docu-serie
Va dato merito a chi ha curato la docu-serie per le scelte operate, capaci di creare effettivamente una panoramica molto ampia, oltre che interessante, con esempi di famiglie che ci potrebbero accomunare in un battito di ciglia, ma anche con casi di persone ‘comuni’ che si dedicano agli altri - magari in conseguenza di ciò che hanno vissuto o anche solo per vocazione. In più sono state selezionate diverse fasce d’età sia rispetto alle singole storie, però, ad esempio, nel caso della famiglia Nozzoli si dà vita anche a un forte confronto generazione. Ognuno di loro regala un pezzo di sé, non solo per come hanno vissuto la fase 1 e 2, ma anche - se non soprattutto - perché è nelle loro mani la modalità di auto-riprendersi (cosa e come farlo).
“Aria”: l’incontro stampa
ANDREA PORPORATI
«Ci siamo ritrovati in lockdown e ci siamo ingegnati per capire come riuscire a fare il nostro lavoro in quella situazione, come poter raccontare storie. Attraverso media e giornali abbiamo cercato persone per narrare attraverso di loro e con loro questo periodo. L'unico modo era chiedergli di riprendersi, non sapevamo se avrebbe funzionato, ma alcuni di loro si sono innamorati di questo modo di raccontarsi. Al termine della realizzazione ci siamo resi conto che il finale lascia una sensazione di provvisorio lieto fine che non era stato previsto.
Queste non sono storie inventate, sono pezzi della loro vita. I nostri protagonisti hanno vissuto un momento finale di rinascita, di presa di coscienza, di ritorno a godersi il tempo che scorre. Queste persone ci hanno offerto il loro punto di vista in prima persona e questo dà al racconto un respiro collettivo e globale che noi non saremmo riusciti a dare con una sceneggiatura pensata a tavolino; tutti vanno d'accordo senza un direttore d'orchestra. Avevamo tantissimo materiale, volevamo spingerci in un racconto corale, ma per raccontare una coralità dovevamo trovare un filo del racconto. Qui quel filo non c'era ma c'erano delle intenzioni. Il montaggio è durato molto a lungo con tre montatori fissi, è durato da luglio fino a ottobre e, a un certo punto, abbiamo cominciato a comporre la musica, ma non riuscivamo perché non trovavamo il bandolo della matassa. Alla fine siamo riusciti nell'impresa perché abbiamo capito che la musica non serviva a raccontare qualcosa, ma semplicemente ad accompagnare. Credo che alla fine sia stato un lavoro di scoperta; il tentativo era cercare di dare a ognuno il giusto peso alla sua voce in modo che alla fine tutte le voci si componessero tra loro».
COSTANZA QUATRIGLIO
«Il magma di immagini che noi abbiamo vissuto e continuamente viviamo a volte passivamente ha bisogno di un’organizzazione del pensiero che non è scontata e che soltanto il linguaggio può dare. Questa cosa la dico perché sono stati mesi intensi in cui ci siamo interrogati su questo. Le immagini vengono rimosse se non vengono pensate in un certo modo. Ci deve essere un pensiero e una condivisione di un pensiero del mondo. Non basta l’immagine in sé. Siamo immersi in immagini destinate a colpirci e a svuotarci di significato: il discorso lo può fare il cinema».
DANIELE VICARI
«Quando è scattato il lockdown, ci siamo detti subito che era il momento di prendere in mano il nostro mestiere. È una fatica raccontarsi e questa fatica raccoglie il senso del cinema documentario. Io e la produttrice Francesca Zanza nel lontano 2007 con “Il mio paese 2.0” abbiamo fatto il primo progetto partecipato sul tema dell’industrializzazione e del declino industriale. Rispetto alla situazione vissuta quest’anno, apparentemente gli italiani hanno reagito, ma in fenomeni di costume, così abbiamo deciso di riprendere gli italiani in movimento. Stiamo anche ultimando un film di finzione in merito. In “Aria” abbiamo cercato di restituire ai testimoni lo strumento di raccontarsi. Gli italiani che camminano è un’immagine bellissima di costruzione del futuro. La sensazione era che gli italiani avessero reagito con energia impressionante, ma che i media si fossero solo riversati sui fenomeni di costume, dai canti sul balcone alle messe per strada. Abbiamo fatto quello che nella politica si chiama devoluzione restituendo ai testimoni il racconto di loro stessi. Purtroppo non basterà il vaccino per uscire dalla pandemia, ma serve un cambiamento radicale».
La testimonianza di DANIELE SCIUTO
«Quando sono stato contattato era aprile e qui in Kenya eravamo in un momento terribile, pensavamo che il coronavirus non sarebbe mai arrivato e invece lo ha fatto. Sono solo cinquanta i posti letto di terapia intensiva in un paese di 50 milioni di abitanti. Ero stato contattato da tanti giornalisti per avere un parere sul dramma che si sarebbe potuto svolgere in Africa se fosse arrivato il virus. All'inizio avevo declinato l’invito perché pensavo fosse l’ennesima spettacolarizzazione del dramma africano; ma Pietro (Porporati, nda) è stato tenace chiarendomi che si voleva raccontare senza spettacolarizzare. Non mi sono innamorato di questo modo di raccontarci, sono stati giorni intensi, senza avere il tempo giusto per fare le riprese. Per mesi abbiamo lavorato dalle 8 di mattina alle 8 di sera cercando di creare una terapia intensiva e formare il personale. È stato duro e impegnativo trovare i momenti per riprendere e inviare il materiale con connessioni molto lente; però mi sono innamorato però del progetto sociale che andava a incarnare.
Questo docu-film mi è sembrato portasse l’analisi a una riflessione più profonda su quanto stia accadendo. C’era molta attesa di questo dramma che investiva l’Africa. Quando in Italia le notizie erano tutte uguali, l’attenzione si è spostata sull’Africa; ma quando il dramma non c’è stato, ha perso d’interesse giornalistico. In realtà per noi è stato ed è tuttora dura. Abbiamo avuto un’onda gigantesca che stiamo continuando a cavalcare. Il Covid in Africa è un dramma sotterraneo. Qui, per esempio, abbiamo avuto un incremento di giovani donne, dai 13 ai 15 anni, incinte che per lo più partoriscono in casa, una situazione che genera mortalità materne e disabilità nei bambini. Questa situazione non fa notizia e non sarà attribuita al Covid, quando è l’effetto. In questo docufilm questo viene raccontato in piccole dosi perché non voleva essere un documentario sanitario. A piccole pillole nella mia testimonianza, però, credo che qualcosina di questi aspetti passi».
MAURIZIO IMBRIALE, vicedirettore RaiPlay & Digital
«La docu-serie “Aria” è un tassello importante della nostra offerta editoriale che ha iniziato a produrre programmi, documentari e fiction. Questa iniziativa è speciale perché legata a quello che stiamo vivendo da marzo. Dalle storie raccontate traspare tanta umanità. Diversamente da altre iniziative simili, “Aria” ha un respiro molto più largo e internazionale uscendo dai confini nazionali e dando voce a italiani che spesso sono stati travolti dalla pandemia e dimenticati dai media. C’è un desiderio di rinascita molto forte all’interno del racconto. Per quel che riguarda la forma, abbiamo deciso di non pubblicarlo in 120 minuti, ma di utilizzare la formula di miniserie dai 15 ai 20 minuti per puntata (in totale 6, nda) che è il tipo di fruizione che si ha all’interno della piattaforma».
ELENA CAPPARELLI, direttrice RaiPlay e Digital
«Non abbiamo avuto nessun dubbio che RaiPlay fosse il luogo più giusto dove fare questo racconto, interpretando il ruolo di servizio pubblico. La docu-serie vuole essere un’immersione profonda nella vita delle persone. Io avevo dubbi all’inizio sul nome “Aria”, poi viste le immagini ho capito quanto fosse giusto: questo racconto rappresenta l’aria che c’era mancata ed è un grido verso l’aria che dobbiamo ritrovare. Sono molto felice di averlo su RaiPlay. Ci sono mille racconti in questo racconto. Siamo dentro la vita di queste persone e ci siamo appassionati guardandolo con un’emozione che riguarda tutti. Spero che tante persone abbiano la possibilità di entrare in queste storie. Quando uno fa il nostro mestiere deve osservare. C’è una domanda crescente di un tipo di fruizione nuova e RaiPlay interpreta questo nuovo futuro. Produzioni come “Aria” sono diverse da quelle che vediamo ancora oggi nei palinsesti lineari. Il lockdown ha accelerato un fenomeno in crescita e senza ritorno. RaiPlay ha rappresentato una novità importante per il servizio pubblico nell’accogliere tante forme di racconto nuovo in questo ultimo anno e mezzo e credo sia la direzione giusta».

Maria Lucia Tangorra
Pugliese di nascita e milanese di adozione, pensa che in particolare di teatro e cinema non si possa fare a meno. Giornalista pubblicista, laureata in Lettere moderne percorso 'Letteratura e arti' in Cattolica, scrive in particolare modo di Settima Arte e di quella più antica - quella teatrale - ma negli anni ha ampliato occupandosi anche di tv, mostre, libri ed eventi. Vive nella città meneghina, ma effettua trasferte ad hoc anche per seguire festival di settore.
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