
"La fortuna aiuta chi non si abbatte" una seconda vita per l'ex manager Giacomo D'amato
Giacomo D’Amato (Gianfranco per tutti, a causa di un doppio nome), classe 1964, fino all’università ha avuto un’adolescenza normalissima in giro per l’Italia al seguito del padre, ufficiale dell’esercito, e poi nella sua città per il liceo. È partito dal liceo classico di Salerno, sua città d’origine, per approdare alla facoltà d’ingegneria elettronica presso il politecnico di Torino. «Fu una scelta coraggiosa – dice D’Amato – non per il viaggio ma perché non avevo nessuna base in matematica e fisica e andavo a studiare in una città in cui non conoscevo nessuno, in un’università qualificata ma molto difficile. Le uniche cose che avevo erano le idee chiare su quello che volevo fare, ovvero frequentare una prestigiosa università che mi desse ottimi sbocchi professionali e una buona dose di determinazione. Gli ottanta sono stati anni fortunatissimi, molto diversi da quelli di oggi, soprattutto per i giovani».
Già al quarto anno, iniziò a ricevere una trentina di proposte di lavoro, mentre al quinto se ne andò a Roma a cercarne di altre, perché non voleva rimanere nella “piccola” Torino. Dopo alcuni colloqui, scelse una multinazionale svedese, la Ericsson, che gli avrebbe permesso di fare ciò che più desiderava, ovvero viaggiare; cominciò con la figura di product management, per poi approdare nel management della società, con lunghe tappe in America e quattro anni vissuti a Stoccolma. Seguirono diciotto anni da presidente e amministratore delegato in diverse multinazionali (spesso si trattava di start up), con l’opportunità di imparare ogni volta qualcosa e con grandi responsabilità.
Tra queste, c’era la Seat Pagine Gialle, in enorme espansione. D’Amato aveva messo in piedi la consociata italiana del gruppo tedesco Telegate, poi acquisita proprio dalla Seat di Lorenzo Pelliccioli. Dopo poche settimane dall’acquisizione, D’Amato fu chiamato da Pellicioli per occuparsi del gruppo di società Seat in cui erano confluiti tutti i call center, partendo da quelli che erogavano il servizio Pronto Pagine Gialle 89.24.24, il quale era spinto da una forte campagna pubblicitaria il cui testimone, per anni, fu Claudio Bisio. Dichiara in proposito: «Avevo migliaia di persone sotto di me. Il gruppo di cui ero presidente e AD confluì poi in Telecom Italia Media, che al tempo faceva capo a Tronchetti Provera. Momenti complessi ma proficui. Ricordo quando sistemavo le etichette sui bagni dei bellissimi uffici di Telegate al Lingotto, mentre cominciavo, come primo dipendente, i colloqui. Quando lasciai la Seat, in quegli uffici lavoravano 850 persone».
Per Gianfranco D’Amato, gli anni di carriera dopo il 2005 sono stati molti impegnativi e complicati, perché era in giro per il mondo, sempre su un aereo; man mano che le situazioni e le aziende crescevano, inevitabilmente salivano anche le tensioni e le ansie, sacrificando ovviamente il vissuto sull’altare della carriera. Da lì, decise che non avrebbe fatto quella vita ancora per molto, la sua famiglia ne soffriva troppo: «Mia figlia di sette anni scriveva nei temi “voglio molto bene al mio papà ma non lo vedo mai”. Non potevo accettare tutto questo. In Kgb, la concorrente di Seat che mi aveva cercato per lanciare in Italia il servizio 892.892, l’ennesima start-up, dopo un anno ero responsabile di diverse migliaia di persone, dalle Filippine all’Europa, fino agli Stati Uniti. Tutto gestito secondo i pressanti requisiti americani. Un periodo di grandi pressioni.
Mi posi l’obiettivo di cambiare vita a cinquant’anni. Tranne in qualche caso, non mi sono mai sentito “in famiglia” in queste aziende, ero semplicemente un professionista che lavorava per far guadagnare gli azionisti e che ovviamente traeva i suoi benefici. Ma il prezzo da pagare era alto. Viaggiavo molto e non avevo mai tempo di farmi una vacanza, starmene qualche giorno a casa con mia moglie e la bimba, o semplicemente coltivare le passioni per lo sport, la musica e la scrittura. Ricordi aneddoti incredibili, come quando non feci nemmeno un giorno di vacanza per due anni, tra il 2005 e il 2007». All’età di 48 anni si “allinearono i pianeti”, come dice lui, e Gianfranco decise di lasciare il mondo delle multinazionali per iniziare una nuova vita, cercando in primis di assestarsi e capire cosa fare; se fino a qualche tempo prima aveva un lavoro che gli assorbiva il 95% del tempo, D’Amato voleva un lavoro che gliene assorbisse non oltre il 30%, poiché per il resto sentiva il bisogno di dedicarsi ad altro. Di lì a poco, decise di acquistare degli immobili da adibire a case vacanza di alto livello, nel centro di Milano. “Fu una scelta fortunata – spiega D’Amato – perché si verificavano contemporaneamente due condizioni favorevoli. La prima era uno sviluppo notevolissimo (e forse previsto da pochi) di Milano dal punto di vista culturale ed economico con conseguente aumento del turismo. La seconda era il boom della richiesta di affitti brevio in pieno centro”. Quello che doveva essere solo un investimento immobiliare a breve termine a causa dell’Expo divenne invece invece un’attività, poi sviluppata ulteriormente. “Il risultato è stato un ritorno economico che non mi ha fatto di certo rimpiangere gli ultimi anni da manager, con la differenza che lo stress e il tempo dedicato alla nuova attività erano infinitamente inferiori”.
A questo punto, l’ex CEO di Seat Pagine Gialle e Kgb specifica: «Con del tempo a disposizione, sono partite una serie di situazioni impensate, come la scrittura del primo libro, in cui racconto gli aneddoti su come sono nate le canzoni italiane che fanno parte della memoria degli italiani, insomma quelle che cantiamo sempre tutti. Raccolsi tutto dal racconto diretto di trentacinque grandissimi autori. Il problema era che non conoscevo nessuno, ero totalmente estraneo al mondo della musica e del giornalismo specializzato. Prima d’iniziare a scrivere il libro, contattai via email i tre critici musicali più importanti d’Italia a cui chiesi consigli su come fare, su come avvicinare questi grandi personaggi per intervistarli: due non mi risposero, mentre il terzo mi disse di lasciar perdere». Contro ogni logica, fa un lavoro enorme, andando a cercare gli autori delle canzoni con grande pazienza, uno ad uno e ricevendo anche molti “no grazie”. Ma alla fine il risultato sono centinaia di ore di interviste dettagliate e al contempo affascinanti. Dopo due anni, riesce a portare tutto questo in libreria (Mi ritorni in mente, ed. Zona Editrice), con i vantaggi di un seguito molto fortunato e l’amicizia di grandi artisti, che fino a pochi anni prima ammirava da lontano.
Dopo tante presentazioni nelle librerie, in cui la gente rimaneva sorpresa e affascinata per le storie e i retroscena delle canzoni che tutti conosciamo, hanno iniziato a chiamarlo in tutta Italia per raccontare gli aneddoti del libro, inclusi spettacoli in teatri e piazze. Specifica D’Amato: «Mi hanno chiamato anche a Sanremo nel corso della settimana del Festival, insieme agli altri quattto libri sulla musica più interessanti usciti nel 2015. Da lì è nato tutto». Questo “tutto” della seconda vita di Gianfranco è fatto di amicizie e collaborazioni nella musica e nell’editoria.
Con l’entusiasmo negli occhi, D’Amato racconta: «Con Alberto Salerno, marito di Mara Maionchi, abbiamo fondato l’associazione Muovilamusica, un blog musicale, un programma radio partito in modo artigianale a casa sua e poi approdato su Radio Marconi, che probabilmente riprenderemo l’anno prossimo e tante altre cose». Poi sono arrivati altri tre libri e a fine anno ne uscirà un quinto; nel frattempo, si è concretizzata la collaborazione con un altro amico e suo mito adolescenziale, Alberto Fortis, di cui Gianfranco cura alcuni interessi e con cui viaggia in tante piazze d’Italia. «Ho avuto addirittura l’occasione di scrivere una commedia musicale – racconta d’Amato - Che bei tempi!, su richiesta di un altro caro amico e grandissimo musicista, Dario Baldan Bembo. L’abbiamo già portata in scena questa estate con Dario, Elisabetta Viviani e Franco Romeo. La parte gratificante di queste attività insieme a grandi artisti è il risconto del pubblico, un aspetto totalmente sconosciuto per un manager. Spesso si tratta di progetti sulla musica degli anni settanta e ottanta, quella conosciuta veramente da tutti, perché anche le nuove generazioni si appassionano e si scatenato su certe note. A differenza del mondo che ha frequentato nella “prima vita”, in cui tutto si pianificava, nel mondo dello spettacolo è oggettivamente più spontaneo e destrutturato». Molte emozioni, dunque, lontane anni luce dai consigli di amministrazione, dai business plan, dalle ristrutturazioni aziendali, dai bilanci, dal profitto ad ogni costo. Appunto, un’altra vita. La sua quotidianità si snoda ora tra la cura degli appartamenti per vacanze a Milano e le numerose passioni, avendo anche la fortuna di abitare in un paradiso a cielo aperto come Milano 2. Se la passione per la musica dovesse diventare un impegno e fonte di stress, siamo sicuri non ci metterebbe un attimo a smettere e passare ad altro. La condizione dell’ex manager è indiscutibilmente privilegiata perché, non avendo interessi o velleità, ha cercato di prendere il meglio delle situazioni e metterci passione, senza stress.
Conclude D’Amato: «Ci sono tre cose che contano in tutto ciò che fai: talento, determinazione e fortuna. Io non avevo nessun tipo di talento artistico, ma ho avuto sempre delle buone propensioni per fare il manager, per risolvere situazioni complesse o gestire cose molto complicate. La determinazione ce l’ho sempre avuta, mentre la fortuna capita e basta e sta a noi approfittarne in quei rari momenti in cui arriva. Le crescite comunque, in qualunque campo, passano per l’applicazione e la motivazione. Appartengo certamente ad una generazione fortunata, che è cresciuta, fino ad un certo punto, in una situazione economica e lavorativa privilegiata. Ma a un certo punto la musica, per rimanere in tema, è cambiata.
Avessi cominciato di questi tempi, avrei fatto certamente molta più fatica e probabilmente avrei ottenuto molto meno. Ma il punto non è questo. In tutte le cose, la differenza la fanno sempre le persone, mai gli aspetti contingenti. L’esempio migliore che possiamo dare ai nostri figli è quello di scegliere il proprio percorso con attenzione e poi di perseguire l’obiettivo con entusiasmo e motivazione. Urlare alla luna non serve e non è nemmeno un esercizio nato di questi tempi, con la crisi. È sempre esistito, anche in periodi di vacche grasse, perché è più facile lamentarsi che darsi da fare, anche se non porta da nessuna parte. Qualunque sia l’aspirazione di un ragazzo, la determinazione è fondamentale. E la fortuna, prima o poi, aiuta chi non si abbatte». Indiscutibilmente, un bella morale per giovani e non.
Stefano Bini
