
Dalla Gialappa's band a Un medico in famiglia, Ugo Dighero si racconta a Nerospinto
Quando gli si chiede una parola per definire il Teatro, lui risponde: "È vita”. Ricordato dal grande pubblico per gli sketch con la Gialappa's Band e per il ruolo di Giulio Pittaluga nella sit-com "Un medico in famiglia", solo chi ha la fortuna di conoscerlo bene sa che Ugo Dighero si sente realizzato solo quando si apre il sipario. È lì, nel momento in cui incrocia i suoi occhi con gli spettatori, che si compie la vera magia del teatro.
“Dove si realizza una perfetta catarsi. E si raggiungono vette di pensiero altissime”, così Ugo Dighero racconta il Teatro, il suo.
Dighero, in scena fino al 10 marzo al Teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena con lo spettacolo "Tango del calcio di rigore", ci ha raccontato alcuni aneddoti sulla sua carriera di attore a 360 gradi, tra momenti di impegno civile à la Gianmaria Volonté, il suo maestro, e altri di puro divertissement.
Dove nasce l'idea di portare il calcio a teatro?
Il calcio è un fenomeno mediatico gigantesco e uno dei più grandi giri d'affari a livello mondiale. È una realtà con cui bisogna fare i conti, un argomento sovraesposto e che per questo incontra tutta l'umanità possibile, nel bene e nel male. Ma se ne può parlare sotto varie sfaccettature, come quella del suo rapporto con la politica. Il calcio è usato spesso dal potere ed è con questo pretesto che insieme a Neri Marcoré, Rosanna Nadeo, Fabrizio Costella e Alessandro Pizzuto portiamo in scena un affresco su calcio e potere in salsa sudamericana. L'anno è il 1978, il luogo l'Argentina del generale Videla, l'evento i Mondiali di calcio che l'Argentina deve vincere e, ovviamente, vince. Un bambino di allora, oggi adulto, ricostruisce i fatti evocando storie leggendarie e miti del fùtbol.
Il teatro veicola idee, cultura e sogni. Quando hai cominciato ad amarlo?
Da ragazzino. Un po' perché mio padre era un attore dilettante, pur diventando un divo del teatro dialettale genovese. E un po' per alcuni amici dei tempi del liceo appassionati di teatro. Un giorno sono andato al Teatro Stabile a vedere le prove di un famoso spettacolo con la regia di Egisto Marcucci, "La donna serpente". Attori straordinari e una scenografia clamorosa! Quando sono uscito da lì mi sono detto: “Questo è quello che voglio fare nella vita”. È stato un colpo di fulmine.
E proprio allo Stabile hai frequentato la scuola di recitazione. Quanto è stata importante per la tua formazione artistica?
Tantissimo. Ho fatto tre anni di scuola cominciando nel 1979. Un periodo stupendo dove ho fatto alcuni incontri felici, cominciando da Marcello Bartoli: un attore-insegnante che aveva una preparazione straordinaria per tutto ciò che riguarda le maschere, il corpo, l'utilizzo del corpo in scena e così via. E poi ho fatto un anno con Gianmaria Volonté, un altro grandissimo maestro.
A proposito di Volonté, hai un aneddoto da raccontare?
Era molto sornione. Si divertiva a buttare lì delle provocazioni per vedere come reagivano i suoi giovani studenti. È stato molto interessante avere a che fare con lui, abbiamo lavorato insieme per tutto l'anno allo stesso testo. Ma i rapporti con la “classe” erano contrastanti: c'era chi rifiutava il suo carisma, ma nessuno si sarebbe azzardato a mettere in discussione un monumento come lui.
Come Dario Fo, l'altro tuo grande maestro...
L'ho conosciuto quando avevo già cominciato a fare questo mestiere. Da ragazzo avevo studiato per conto mio "Mistero buffo", non pensando che sarebbe diventato un mio cavallo di battaglia. Poi ha cominciato ad appassionarmi e ora sono 30 anni che lo porto a teatro. Una volta Dario mi ha visto proprio qui, al Teatro Modena, in occasione di una serata in suo onore. È stato emozionante.
Com'è avvenuto il tuo passaggio dal teatro alla tv?
Era un periodo che lavoravo con quelli che sarebbero diventati i Broncoviz: Maurizio Crozza, Carla Signoris, Marcello Cesena, Paolo Pirovano. Da qualche mese su Rai 3 spopolava la comicità di Avanzi, che aveva appena sostituito "La tv delle ragazze". Ci divertiva da morire e abbiamo pensato di girare degli sketch e mandarglieli. Sono piaciuti e così è cominciata la nostra avventura televisiva.
Che poi è proseguita con la Gialappa's Band...
Amo i “gialappi” incondizionatamente. Hanno tenuto per tanti anni lo stesso format con un successo incredibile e meritato. Non è un caso che da loro siano passati tutti i grandi comici italiani. Per me e Mauri (il suo amico Maurizio Crozza, ndr) "Mai dire gol" è stata una palestra straordinaria.
A Mai dire... hai portato un sacco di personaggi. A quale sei più affezionato?
Sarebbe scontato dire Sandro (“In campana! Fischiet!, ndr) o il muratore Pino. Per questo cito Gnappo, che tra l'altro continuo a portare a teatro. Mentre alcuni personaggi hanno un respiro corto, tipo Sandro che non regge più di tre minuti, Gnappo è diverso. Per chi non lo ricordasse, è un pupazzo pensato per far divertire i bambini che, paradosso, racconta i classici delle favolette con taglio cinico. Anche perché molte fiabe sono violentissime, vedi la storia di Pollicino. La cosa bella del pupazzo Gnappo è che può fare veramente di tutto: dalla Divina Commedia ai Promessi Sposi!
Hai lavorato in molte fiction e interpretato due siciliani: Don Puglisi e l'operaio Cirinnà.
Evidentemente è piaciuta la mia prima interpretazione in simil-siculo e quindi sono entrato nella rosa dei candidabili. Due ruoli drammatici che ho interpretato volentieri e mi hanno arricchito.
Senza dimenticare "Un medico in famiglia" e "R.I.S. Delitti imperfetti". Qualche aneddoto dal set?
"Un medico in famiglia" ha avuto un successo enorme. Ricordo di quando dovevamo girare, ovviamente in gran segreto, la scena del matrimonio di Lele. Credevamo non ci fosse nessuno e invece è spuntato un giornalista che si era appostato lì tre giorni prima barricandosi in un appartamento abbandonato! E tutto per rubare qualche foto. Per quanto riguarda R.I.S., abbiamo girato molte scene di azione di cui diverse in macchina. Si giravano in mezzo al traffico con due auto dei carabinieri, una davanti e una dietro. Una volta, con Lorenzo Flaherty, dovevamo scendere improvvisamente dalla macchina tirando fuori la pistola. Lo facemmo, ma gli operatori tornano sulla nostra Bmw X5. Il motivo? Flaherty aveva dimenticato il freno a mano e l'auto stava andando giù!
Il più grande attore con cui hai lavorato?
Ahia che domanda! Ce ne sono tanti. A teatro ho avuto la fortuna di iniziare con Lina Volonghi, il suo è stato un insegnamento incredibile per la serietà, lo studio a meravigliosa naturalezza che esprimeva sul palco. Tra cinema e tv, invece, direi Milena Vukotic e Pierfrancesco Favino.
A proposito, com'è oggi la tv rispetto a 20 anni fa?
Dal punto di vista della comicità non è un momento molto felice. La satira politica è quasi sparita, rimane solo Crozza. Programmi comici nuovi e belli non se ne vedono. È un momento di decadenza generale, non solo del piccolo schermo ma di tutto il Paese. Il web? Ci sono un sacco di cose interessanti ma anche una montagna di cose orribili. Forse non le capisco, ormai ho una certa età.
Che film guardi? E che musica ascolti?
Sono un grande appassionato di serie tv americane: "Six feet under" è un capolavoro assoluto, così come "Breaking bad". I loro autori riescono a fare quello che prima si faceva con il cinema d'autore. Per quanto riguarda la musica sono onnivoro! Ascolto prevalentemente jazz ma anche rock della mia epoca, anni '70 e '80. Ah, dimenticavo: anche la musica classica. Una mia grande passione.
Tornando al teatro, quanto è importante nella vita delle persone?
Lo ritengo un momento fondamentale nella vita di chiunque. Non solo per gli attori, ma anche per lo spettatore e per chi lo fa da dilettante. Peccato che trovare un trentenne a teatro sia un'impresa disperata. Colpa anche di una certa politica e della sua poca considerazione nei confronti della cultura. Non è un caso se siamo al penultimo posto in Europa per investimenti statali sulla cultura.
Come riportare i ragazzi a teatro?
Bisognerebbe prendere spunto dall'Inghilterra. Lì il teatro è vivo, vive letteralmente tra gli studenti che lo usano per raccontare le loro storie e le loro idee sociali e politiche. In Italia questo non succede, ed è un peccato. Il teatro è un'arma a doppio taglio: se porti i ragazzi a uno spettacolo noioso sei fritto, ma se azzecchi quello giusto ti riempie l'anima come nessun'altra cosa al mondo. Insegnanti di tutta Italia, mi rivolgo a voi: unitevi e state attenti a portare i vostri alunni a vedere Shakespeare o Pirandello. Scegliete qualcosa che si avvicini di più alla loro mentalità. Perché ricordate: il teatro è un luogo dove succede sempre qualcosa di incredibile. È la vita, per noi che riproduciamo storie come per chi viene ad ascoltarle: è il posto dove si realizza una perfetta catarsi.
Dove ti possiamo vedere a teatro?
Dopo "Tango del calcio di rigore", tra marzo e aprile io e Gaia De Laurentiis gireremo l'Italia con "Alle 5 da me", una bella commedia che racconta i disastrosi incontri sentimentali di un uomo in cerca di una compagna per la vita e di una donna alla disperata ricerca di qualcuno che le possa garantire una procreazione senza l'uso di provette.
Informazioni Utili
Sito Ufficiale: https://www.ugodighero.it/prossime_date/
Roberto Bordi
