
Perché il Gay Pride è anche etero.
Immaginate un bar qualunque nella città di Milano e due persone sedute a bere un caffè.
Classico scenario di un pomeriggio estivo e classiche quattro chiacchiere: come stai, cosa fai, se per le ferie ti concedi un viaggio a vattelappesca o resti a goderti il caldo in città (alla voce del verbo “godere” vi prego di cogliere la sottile ma profonda sfumatura ironica!).
Poi, d'improvviso... gli occhi sbarrati, il volume della voce che si abbassa vertiginosamente, e una domanda colma di stupore mista ad un grado di preoccupazione che per un attimo mi ha fatto pensare di dover chiedere una bombola d'ossigeno invece del conto.
[“Vai al Gay Pride?
Tu? Ma sei etero.”]
[“Ma dai, davvero? Pensa che se non me lo dicevi non me ne sarei mai accorta.
Grazie, mi hai mostrato la luce in fondo al tunnel.”]
[“Quello che intendo dire è che sei etero, non senso ha per te andare al Gay Pride. Mica ti piacciono le donne... o no?”]
A questo punto la tentazione, lo ammetto, è stata forte.
Avrei tanto voluto rispondere che mi piacciono le persone intelligenti ma non per questo avevo declinato l'invito a bere un caffè insieme.
Invece mi è venuta in mente una citazione di Socrate letta qualche giorno prima: “Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l'ignoranza.”
Dopo essere stata fulminata da cotanta saggezza, potevo forse sminuire tutto con del facile sarcasmo?
Per fortuna non mi piace vincere facile e allora ho semplicemente domandato:
[“ Ma tu, sai cos'è il Gay Pride?”]
[“Si, la festa che fanno gli omossessuali. Che poi, guarda, non ho mai capito tutto questo fracasso. Cioè alla fine sono persone come noi io mica ho niente contro di loro, però non capisco perché andare in giro conciati in quel modo a fare baccano. Che senso ha?”]
Non sono mai stata un genio della matematica ma per fortuna ho imparato che saper contare fino a dieci è una salvezza, soprattutto se ci aggiungi un profondo respiro.
Per spiegare il Gay Pride bisogna partire dal principio così da evitare di cadere nello stereotipo della carnevalata gratuita.
Tranne se vi piace vincere facile, ma come ho detto non è il mio caso.
Bisogna conoscere la rivolta di Stonewall del 1969 quando nei democratici Stati Uniti d'America la comunità LGBT si ribellò alle vessazioni (spesso pretestuose) della polizia portando a galla una problematica ancora oggi più che attuale: la negazione dei diritti.
Ma veniamo ai giorni nostri.
Gay Pride come autoghettizzazione?
No, Gay Pride come affermazione, raccolta di voci di persone che esistono, hanno storie, amici, famiglie e soprattutto amano. Esattamente come tutti.
Ma a differenza di quei tutti (etero) che godono di una vita normale e hanno il diritto di scelta, l'identità LGBT si vede negare tale diritto che invece deve costituire la base della vita di ognuno.
Io devo poter scegliere chi essere.
Chi amare.
Fino a quando una persona verrà etichettata, giudicata, picchiata, denigrata, per il suo orientamento sessuale allora smettiamola di nasconderci dietro l'idea che viviamo in una società democratica e integrante.
Fino a quando useremo ogni scusa possibile per giustificare atteggiamenti omofobi e tratteremo con indifferenza notizie che ci raccontano gesti estremi di chi è stato costretto a vivere l'omosessualità come una colpa al punto tale da decidere di dire basta nel modo peggiore... ecco, fino a quel momento dobbiamo avere almeno la decenza di fare silenzio.
E se parliamo facciamolo per difendere diritti che sembrano scontati per noi per un solo ed unico motivo: sono diritti acquisiti.
Certi, reali.
Ma per tanti, troppi, non è così.
A questo punto, dopo una lunga chiacchierata, è ora di chiedere il conto.
[“Adesso hai capito perché vado al Gay Pride? Io posso scegliere chi essere e chi amare.
Tutti devono poter avere questa scelta, per questo voglio partecipare.”]
Il cameriere si avvicina e lascia lo scontrino sul tavolo.
Ci guarda perplesso.
Avrà pensato che per qualche strano sortilegio le tazzine devono essersi riempite di caffé ogni volta che restavano vuote visto il tempo di permanenza nel bar.
Ci avviamo verso la metropolitana.
[“Si, dai... adesso è un po' più chiaro.”]
Davanti ad una tale dichiarazione, preda di un entusiasmo che sfugge al mio controllo faccio una domanda. Avete presente quel tipo di domande “da un milione di dollari”?
[“Perché non vieni anche tu?”]
[“No dai... se poi mi vede qualcuno?”]
Singolare domanda fatta da una persona che ha appena bevuto un caffè in un bar del centro di una delle città più popolate d'Italia.
[“Puoi sempre mettere un sacchetto in testa, così tanto per andare sul sicuro.”]
Le mie labbra si sono piegate in un sorriso che credo somigliasse più ad uno spasmo improvviso della bocca.
[“No dai, grazie. Sei davvero gentile, ma non è il caso.”]
Siamo ormai giunti all'ingresso della metropolitana, i saluti di rito non sono più rinviabili.
Cerco di provare almeno un briciolo di senso di colpa perché la cosa non mi rattrista nemmeno un po'.
Ci provo.
Non ci riesco.
[“Allora ciao, grazie per il caffè.”]
[“Figurati è stato un piacere. Grazie a te per avermi raccontato qualcosa in più sul Gay Pride. E mi raccomando domani... attenta che qualche donna non ti faccia il filo! Alla fine mica lo sanno se sei come loro o sei etero.”]
Lo ammetto, non ho contato fino a dieci.
A stento sono arrivata a due.
Ho sfoderato il mio miglior sorriso (uno vero stavolta) e ho detto:
[“Non preoccuparti, la MIA RAGAZZA saprà difendermi da qualsiasi attacco nemico.”]
Scusami Socrate, più che alla tua a quel punto ho dovuto fare appello alla saggezza popolare che così insegna: quando ce vò, ce vò.
