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Venerdi 29 giugno ad Albenga, Enzo Bellissimo, patron e oste della cantina di Re Carciofo, consegnerà ad Antonio Ricci il premio di Re Carciofo 2018. Simbolico riconoscimento rivolto a chi, come il noto volto della televisione italiana, si dedica con passione e impegno alla tutela del territorio ligure.

Sono partenopei, amici e complici, protagonisti di una liaison artistica tra le più fortunate del cinema italiano degli ultimi anni. Stiamo parlando di Paolo Sorrentino e Toni Servillo, regista il primo e attore il secondo, lanciati con “La grande bellezza” in corsa verso l’Oscar, dopo la candidatura dell’Academy che li ha inclusi nella magica cinquina dei candidati nella categoria “Miglior film straniero”. Ma facciamo un passo indietro, un lungo passo di oltre dieci anni che ci riporta al 2001, quando il trentenne Sorrentino - impegnato già nella direzione di diversi corti - firma il suo primo lungometraggio, “L’uomo in più”. Protagonista doppio e capace di caratterizzare con il suo istrionico talento una sceneggiatura originale è già lui, Toni, la cui identità si confonde con quella dei suoi omonimi cinematografici. Antonio e Toni, uno e trino, uomo feticcio per il regista che lo vorrà ancora a consacrare il suo successivo film “Le conseguenze dell’amore”. Tutt’altra atmosfera, fredda e rarefatta, inquietante come i silenzi che un volto dalle mille sfumature riesce a modulare con maestria di teatral fattura. Il successo è già dietro l’angolo, i cinque David di Donatello conquistati dalla pellicola aprono la strada al vincente e profondo sodalizio rotto solo raramente - come succede per “L’amico di famiglia” - subito ricreato per conquistare il Festival di Cannes nel 2008 con “Il divo”, Premio Speciale della Giuria e fortissima interpretazione ideologica e figurativa del personaggio di Giulio Andreotti. Per Servillo è ovazione a furor di popolo, ma la recitazione è ancora una volta strumento a servizio di una prospettiva artistica intimamente legata all’universo Sorrentino, nel segno di un’alchimia professionale intensa e duratura. La bellissima parentesi americana di “This must be the place” vede uno straordinario Sean Penn rubare solo per poco il ruolo di primadonna a Servillo, cui Sorrentino dimostra dedizione assoluta ne “La grande bellezza”, costruendo la storia intorno al suo personaggio. Film corale, pieno di volti e di luoghi intessuti di visionarietà, movimento continuo intorno all’immobilità del Jep Gambardella incarnato da Servillo, vero fulcro narrativo e potente detonatore emotivo nel caos umano che si agita lento dentro una Roma multiforme, favolosa o ributtante come il film che la incornicia, come il regista che la racconta. Perché abbiamo a che fare con un cineasta molto amato ma anche molto criticato, per alcuni sopravvalutato, sicuramente artefice, insieme all’amico e ispiratore, della visibilità del cinema italiano nel mondo, e speriamo anche del prossimo Oscar conquistato dal nostro Paese.

 

L'affascinante Ildegarda, monaca benedettina e mistica tedesca, è il personaggio di cui vi parlerò oggi.

 

Vissuta in Europa nel XII secolo, fu per l'epoca un personaggio straordinario, controcorrente, capace di tenere testa a Federico II Barbarossa, con cui strinse un legame di amicizia che terminò solo nel momento in cui la Santa criticò aspramente la scelta dell'Imperatore di supportare due antipapi contro Alessandro III.

 

Filosofa, poetessa, compositrice, veggente, esperta di medicina naturale, consigliera politica, oltre che con l'Imperatore, tenne contatti con altri mistici, nobili e alte cariche ecclesiastiche, tutti personaggi illustri dell'Europa medievale.

 

Physica e Causae et curae sono opere scritte da Ildegarda che contribuiscono ad arricchire le conoscenze in ambito medico, naturalistico, botanico, filosofico, fitoterapico.

Per vivere allineati a se stessi, Ildegarda suggerisce, prima di tutto, una corretta e sana alimentazione, priva di eccessi e scompensi che possono creare muco e umori nocivi.

La Santa tratta anche di drenaggio, metodo utile di purificazione del corpo, parola che oggi si sente spesso abbinata ad altre tecniche rispetto a quelle proposte dalla mistica, quali i salassi e la scarificazione.

Altra metodologia suggerita è il digiuno, pratica che oltre a ripulire il corpo, alleggerisce la mente e la allinea allo Spirito.

Infine, se quanto proposto non è sufficiente per mantenere una ottima salute, Ildegarda sostiene di curarsi tramite la Natura stessa, attraverso erbe medicinali, utilizzo di metalli, pietre preziose e fauna.

Tali qualità, chiamate da lei "virtù", sono necessarie per essere in totale guarigione.

 

L'uomo è un insieme di corpo, mente e Spirito, nel momento in cui viene a mancare l'Unione dei tre elementi, si manifesta uno squilibrio.

Ildegarda fa molta attenzione anche alle emozioni e allo stato d'animo dell'uomo, spiegando che essi influiscono tramite produzioni di umori e scorie nocive al benessere, generando la bile nera. Per tal motivo, la mistica viene spesso riconosciuta come una antesignana della materia psicosomatica.

 

Oltre alla tecnica medica, Ildegarda sostiene che sia fondamentale la consapevolezza, l'attenzione e l'intenzione del cuore. Importante è anche il perdono, il lasciare andare via gli attaccamenti agli episodi che abbiamo vissuto con rabbia e rancore.

 

Rimedi proposti dalla Santa, sono tutt'oggi utilizzati nella fitoterapia contemporanea: cumino per nausea, mentuccia per mal di testa (oggi viene proposta la menta) sono solo alcuni esempi.

 

Sull'utilizzo delle pietre dedica un intero scritto chiamato De Lapidarum, suggerendo ai lettori di prendere consapevolezza che anche loro possono essere d'aiuto: il diaspro freddo, posato sul petto finché non si scalda in più applicazioni, aiuta ad equilibrare lo stato di benessere a livello cardiaco. Anche in questo caso, Ildegarda dimostra di avere conoscenza della cristalloterapia, altra tecnica sorprendente, espressione minerale della Naturopatia.

 

L'anima è padrona del corpo, il modo per far funzionare in modo corretto la propria esistenza è far sì che la seconda si adegui alla prima, evitando resistenze ed attriti.

 

"Perché l'Uomo ha in sé i cieli e la terra e tutte le creature. E' Uno, e tutte le cose nascoste dentro di lui. L'uomo è il recinto delle Meraviglie di Dio".

 

(tratto da Symphonia Armonie Celestium Revelationum)

 

La salute totale si ha nello Spirito, ottenuta grazie al raggio verde Viriditas,Unione consapevole di Uomo con Natura, quanto egli stesso Natura e Uno indivisibile dalla Natura.

Molti pensano che lo Yoga sia una disciplina prettamente legata alla sfera femminile dell'umanità: niente di più errato e al contempo ironico.

Ironico poiché, originariamente, lo Yoga in India era accessibile solo agli uomini, così come di loro esclusiva pertinenza era il permesso di insegnare, anche quando le donne ebbero accesso alla pratica yogica.

E come mai, penso mentre mi aggiusto il baffo, abbiamo assistito ad un'inversione di pensiero completamente opposta alle origini?

 

Beh, una causa è sicuramente l'immaginario comune che si crea attorno alla pratica dello Yoga, la quale viene vista come un esercizio di stretching in cui flessibilità, flessuosità e grazia sono caratteristiche che si riscontrano più nelle donne che negli uomini.

Ciononostante, non è detto che queste qualità non possano essere coltivate con il tempo e la pratica, ma soprattutto non è detto che non possano essere acquisite da un uomo.

Se si ha il timore di apparire meno virili, il mio consiglio è di lasciare la paura fuori dalla sala di pratica, poiché il mettersi alla prova nell'esercizio dello yoga è un'occasione, un'opportunità per star bene, non un tribunale in cui si viene osservati e giudicati.

 

Le caratteristiche peculiari delle Asana (le posture realizzate durante la pratica), assumono inoltre rilievo sotto altri differenti aspetti.

Oltre alle diverse predisposizioni mentali che determinano la buona riuscita di una Sadhana (pratica), intervengono anche altri fattori “esterni” che riconosciamo in forza ed equilibrio.

Fattori ambivalenti aggiungerei, dato che quando scrivo forza, intendo energia muscolare, ma allo stesso tempo la forza di determinazione e di autocontrollo che fa sì che la mente sciolga il proprio corpo, fondendolo completamente nella posizione.

Capite, dunque, che è difficile e fuorviante parlare dello Yoga i termini legati a qualità fisiche, in quanto è necessaria anche una predisposizione emotiva ed interiore.

 

Torniamo a noi e lo farò con una frase secca: si pensa che lo Yoga sia per fighette, radical chic e gay.

Anche qui sorrido.

Partiamo dal fatto che penso e sostengo fortemente che un abito non fa il monaco. Per dirla tutta, pantaloni Thai e drappeggi indiani non fanno Yogi o Yogini (termine per indicare chi pratica la via dello Yoga, Yogi è per i maschietti e Yogini per le femminucce). E' un grosso errore pesare la spiritualità della persona in base ai propri abiti, nonché sarebbe a priori un controsenso giudicare qualcosa di così intimo come lo spirito da un elemento esteriore così effimero come sono i vestiti.

 

Continuando, ho incontrato un sacco di persone che mi hanno detto in spogliatoio: “Pensavo fosse da fighetta lo Yoga, invece...”, oppure “ Non mi preoccupo di sembrar meno uomo, perché non mi sento così”. È sempre questione di come si percepiscono le cose e lo Yoga è un grande strumento per riuscire a sentire nel profondo noi stessi e ritrovare un giusto canale attraverso il quale situazioni o persone vengono sentite con uno spirito più vero.

La pratica yogica non ha nulla a che fare con status personali e soprattutto estetici. Riguarda più da vicino l'essere umano, privato dalla sua esteriorità e della superficialità che lo contraddistingue, scavando a fondo nella sua mente e anima.

Non ha a che fare con i vestiti o con la sessualità di una persona, ma con la sua sensibilità.

E la sensibilità, non appartiene forse sia ad un Eterosessuale che ad un Omosessuale? O pensate che qualcuno ne abbia di più?

Certo, c'è chi ne ha di più o chi di meno, ma non dipende dal fatto di chi ti porti nel letto la notte.

 

Aggiungo soltanto che lo Yoga è una sfida, una pratica e una filosofia rivolta al genere umano nella sua interezza, non ponendo limiti a chi vuole accedervi.

Lo Yoga aiuta ad ascoltare, ad ascoltarsi e a fare le giuste considerazioni senza “veli di Maya” che il mondo attorno a noi, o proprio noi stessi, ci siamo cuciti addosso.

 

Lo Yoga è unione; un'unione con noi stessi, ma anche unione di esseri senzienti. Non divide, non separa, ma aiuta universi profondamente diversi tra loro ad inseguire un bene comune, una vita diversa che tende ad un mondo più puro.

 

Namasté,

Vittorio Pascale

Allievo praticante di Yoga Integrale presso il Centro Parsifal Yoga, Milano

Fondatore della pagina Fb: Yogamando

Studioso e praticante di Buddhismo Tibetano

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