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Carlo Cecchi è Enrico IV - ph. Bobo Antic_|Carlo Cecchi è Enrico IV ph. Matteo Delbo|Scena corale, da sinistra: Angelica Ippolito, Federico Brugnone, Carlo Cecchi, Remo Stella|||

Dal 17 al 26 Novembre al Teatro Franco Parenti di Milano Carlo Cecchi è Enrico IV, attore, curatore della regia e, per la prima volta, anche adattatore di uno dei tanti capolavori teatrali scritti da Luigi Pirandello.

Premetto che la mia adolescenza ha coinciso con gli anni 90. All'epoca Milano sembrava un grosso suk, sporco e maleodorante, ma sempre pronto ad accogliere differenze e deviazioni. Prendiamo piazza Vetra, dove lo sballo era di casa. Nel parco delle basiliche lo spaccio era a cielo aperto e l'erba non cresceva. Così al Sempione.

 

Isole di illegalità dove tutto era permesso. I marocchini giocavano perennemente a pallone e le bottiglie di birra vuote venivano usate come pali per le porte e poi lasciate lì. Idem nelle università: alcune aule (l'aula 4°, l'aula ricreazione di Scienze Politiche e i sotterranei della Statale) erano zone franche dove l'illegalità era la normalità.

 

Constatare come la città sia cambiata nei modi di fruirla è palese. Chiacchierando con persone della mia età l'esclamazione è sempre la medesima: non c'è più la Milano di una volta. Banale, ma veritiera. Ora è tutto veicolato da ordinanze, orari di chiusura imposti, restrizioni e paura. La paura che si crea attraverso notizie distorte e subdole. Un esempio recente di poco fa sul Corrierone, dove il titolo era questo: “Colonne: notti di paura. Un ferito a bottigliate, malmenato un vigile”. L'ennesimo pretesto per screditare la movida tacciandola come pericolosa e deviata. Un articolo  fuorviante, un lungo compendio di raffinatezze giornalistiche incentrato sui motivi per il quale, a detta del giornalista, è meglio stare a casa che uscire.

 

Non facciamo dietrologia con il classico: “si stava meglio prima”. Non diciamo nemmeno che si sta meglio ora. Di sicuro ci sono solo i fatti: dopo aver visto il tramonto dei '90, visto erigere cancellate nei parchi e parchetti (l'ultimo, il capolavoro, quella del giardinetto di fronte al Mom, dove la Moratti arrivò a intitolare il parco al “9 novembre 1989″, ovvero la celebrazione della caduta di un muro issandone un altro) e la chiusura progressiva di tutti gli spazi aggregativi alternativi, mi mancava la polizia in tenuta antisommossa nelle aule dell'Università per sgomberare degli studenti indisciplinati. Una cosa (la polizia in università) che non accadeva dal 72. Un segno dei tempi.

 

Poi l'inaspettato. Martedì sera sono andato per la prima volta a Piazza Affari durante la serata Ape. Cos'è? Un happening all'aperto con concerti, teatro e dj set. Un piacevole ritrovo, una sorpresa nell'asfittico mondo dell'aggregazione milanese, troppo stratificata a seconda delle attitudini o delle abitudini sessuali dove troppo spesso la scelta è tra il locale o la piazza barbara. Quella stessa piazza dove si erge il dito medio di Catellan rivolto verso la Borsa. Al di là del significato che l'artista ha voluto dargli, mi piacerebbe giocare con i significati e dedicare l'opera dell'artista a una non meglio precisata “ottusità meneghina”.

 

Come contrastarle? Continuando ad uscire nelle piazze, ad organizzare eventi con lo scopo di vivere porzioni di città in funzione sociale. Solo così libereremo le idee appoggiandole sull'asfalto. Ci si potrà camminare sopra.

Cosa succede alla setta di Carroll?

 

I follower, che sembravano una falange compatta e coesa, cominciano a dare segni di cedimento, malumore, quasi ribellione.

Rodrerick, braccio destro e operativo del leader lo tradisce e arriva addirittura a rapirne il figlio, fa accordi con l’FBI e si fa portavoce del dissenso crescente tra le fila dei seguaci.

I follower avevano infatti sperato in una conquista del mondo imminente o almeno repentina una volta che il loro “sacerdote” fosse arrivato tra loro e nella casa sicura, sede della setta.

 

Invece Joe Carroll sembra non pensarci proprio. Nessuna azione di conquista, nessun omicidio di massa, nessun virus letale per la popolazione, neppure un piccolo virus nei computer di ogni cittadino americano. Praticamente nulla. Eppure la sua liberazione dal regime di stretta detenzione da parte dell’FBI era stata una operazione complessa e con molto spargimento di sangue.

Carroll al contrario che fa? Scrive! Si occupa a tempo pieno del romanzo della sua vita dove amore e morte, edificazione e distruzione vanno di pari passo e per realizzarlo appieno e compiutamente ha bisogno di Ryan Hardy, il suo alter ego in questa vita, il suo nemico più acerrimo e la sua unica vera fonte di ispirazione. Il romanzo della vita di Carroll non può e non deve prescindere da quello di Hardy. I due lotteranno uno contro l’altro e vivranno insieme. O insieme soccomberanno.

 

Gli ultimi due episodi di The Following però vedono Joe Carroll perdere colpi.

Ryan è più scaltro, più agguerrito e forse anche più fortunato. Fa proclami in televisione, stringe patti con i follower che pensano di tradire il loro leader, mette a segno colpi eccellenti, come la liberazione e la messa in sicurezza del figlio di Carroll che è anche figlio di Claire, l’unica donna che Hardy ama. Il capo della setta a sua volta deve invece fare i conti con defezioni e malcontenti.

Rodrerick fugge e fa patti con Ryan, Emma scontenta del suo rapporto non più esclusivo con il leader pensa di stringere un patto con Jacob che a sua volta si sente minacciato da Carroll per aver fallito la liberazione di suo figlio e il clima all’interno della casa sicura è di incertezza e timore per il futuro prossimo. La polizia e l’FBI stanno per arrivare al cuore della setta e alla residenza rifugio di tutti loro. Carroll impone a tutti di mantenere la calma. Ma è solo una tregua momentanea.

I follower non sono più una falange coesa. La setta come gruppo inizia a scricchiolare.

 

La minaccia più dura e reale per Carroll arriva però da Claire. L’ex moglie, tenuta in ostaggio con il figlio, lo avvicina con un inganno e lo pugnala con decisione, ma non mortalmente.

Carroll riesce a fermarla e pur gravemente ferito chiama soccorso: Claire ha purtroppo fallito.

Il serial killer è furioso. Il senso di tradimento e sconfitta lo assale con tutta la forza.

Il suo progetto grandioso e universale gli si sta frantumando sotto gli occhi; le misure da prendere dovranno perciò essere proporzionate e persuasive.

Joe Carroll chiama Ryan Hardy e gli dice che la donna che entrambi amano presto morirà.

La maledizione che grava sull’esistenza dei congiunti dell’agente dell’FBI si verificherà nuovamente. Sarà come se Claire la uccidesse direttamente Hardy.

Solo una brutta minaccia o una ennesima azione distruttiva di Carroll e la sua assurda setta?

 

Episodio chiave di The Following dopo la scorsa puntata che si poteva definire di transizione.

 

I seguaci di Carroll hanno finalmente un ruolo da protagonisti. Lo dice lo stesso guru della setta. Il progetto di Joe è quello di ricreare lo spirito e la filosofia del romanticismo gotico dove l'amore è sofferenza così tanto quanto la vita stessa. Partendo da Poe e dalle opere del maggior rappresentante letterario del genere, il professor Carroll pone i primi germogli della sua setta. Forma accoliti e affascina platee; in seguito passa alle azioni criminose vere e proprie e infine all'idea di una vera e propria setta, con tanto di seguaci disposti a tutto pur di compiacerlo e far parte del suo gruppo.

 

I follow del serial killer si ampliano e si organizzano in tutto il periodo in cui il loro leader è in carcere e quando Carroll evade e li raggiunge nel loro rifugio collettivo inizia per tutti un nuovo percorso. I seguaci, allora, vengono chiamati a scrivere le pagine ulteriori del libro/percorso cominciato proprio dal loro capo, ognuno a suo modo, ognuno mediante la sua esperienza.

E così che nell'ultimo episodio della serie lo spettatore comprende che i veri follow non sono solo disadattati anonimi o persone escluse dalla società che hanno trovato uno scopo nella setta, né gente così fragile e facilmente influenzabile. Essi sono molto di più. Tutti loro sono già assassini e colpevoli di qualcosa. Sono persone in grado di perpetuare efferati crimini e violenze di ogni tipo. Quello che fa Carroll è solo dargli una struttura nella quale operare, un gruppo al quale appartenere e con il quale collaborare a violenze e omicidi.

 

Joe Carroll lo dice apertamente a tutti loro. Il libro, di ispirazione gotica e romantica, deve essere scritto da tutti loro e ogni pagina sarà la loro personalissima storia.

Gli amici di Emma sono degli assassini ancora prima di conoscere Carroll, Emma lo diventa in seguito ma solo perché è già pronta a diventarlo, la protagonista dell'ultimo episodio ha già ucciso il suo ex marito e l'amante di quest'ultimo. I follow sono tutti assassini. Violenti e psicopatici proprio come il loro leader. La trama della serie allora muta completamente e presenta allo spettatore non più deboli e influenzabili personaggi di secondo piano ma spietati assassini che cercano Carroll per compere il loro destino fino alla fine. Il loro leader lo sa e fa in modo che la sua vendetta diventi quella dei suoi seguaci. Joe Carroll vuole ritrovare l'ex moglie, l'unica donna che ama ( a suo modo), la madre di suo figlio, che però è sotto stretta protezione e sorveglianza del FBI e soprattutto del suo vero antagonista pubblico e privato: l'agente Ryan. Fallito il piano di cattura del giovane agente Mike, questa volta il serial killer ci riprova con un piano diabolico e spietato. Invia una delle sue seguaci a uccidere tutte le donne che portano il nome e il cognome di sua moglie. Inizia così una carneficina assurda e orribile con la polizia e l'FBI impegnati a correre contro il tempo.

Carroll sembra però fallire  ancora per mano di Ryan ma non è così.

Il luogo segreto dove è tenuta la sua ex moglie gli viene rivelato da un suo seguace.

Moriranno altri innocenti? Gli ultimi episodi della prima serie saranno i più difficili da seguire.

 

Antonia del Sambro

La setta di Carroll è l'incubo del FBI.

Lo confessano apertamente gli stessi investigatori scelti che nonostante tutti gli sforzi mancano il bersaglio ripetutamente. Eppure sembrano andarci sempre così vicini. Come afferma, però, l'ennesimo componente della setta, morto suicida negli uffici del Bureau, sarà difficile per gli agenti trovare Carroll o i suoi complici più stretti e importanti, perché la setta del serial killer è immensa e composta da persone del tutto insospettabili. “Siamo noi a cercare voi e non viceversa”, dice il  follow  prima di avvelenarsi, e gli investigatori sanno che dice la verità.

Così, mentre l'FBI brancola nel buio, Joe Carroll e i suoi assistenti più importanti ideano e mettono in pratica il rapimento di uno degli investigatori protagonisti della serie. Il braccio destro di Ryan, l'uomo che sa dove si trovano i testimoni messi sotto stretta sorveglianza e protezione. E Carroll vuole proprio lui per poter arrivare a sua moglie. Alla sua ex moglie per la precisione. Da un pazzo omicida e psicopatico però non ci si può aspettare lucidità e raziocinio, pertanto nella mente del serial killer la sua ex moglie è ancora sua proprietà e legata a lui tramite il figlio di sette anni, anche lui ostaggio nella grande villa occupata dai follow.

A farne le spese è l'agente Mike, pestato a sangue e pronto a essere immolato dai seguaci di Carroll perché ostinato a non confessare il rifugio dove è tenuta nascosta dal FBI la moglie del killer.

La morte sembra ormai inevitabile per il giovane agente ma a salvarlo arriva Ryan che ha intuito il luogo dove lo tengono segregato dopo averlo rapito dall'albergo.

Inevitabile sparatoria e inevitabile fuga del nuovo luogotenente di Carroll. Lo sceriffo Roderick, capo della polizia della sperduta città della Virginia dove si nasconde la setta del killer.

L'attuale sceriffo è stato allievo di Carroll all'università e complice nell'uccisione di tre ragazze quattordici anni prima. Il suo mentore e insegnante, però, si assume tutta la responsabilità degli omicidi e così il giovane allievo non solo non va in carcere, ma può far carriera nelle forze dell'ordine e diventare il punto di riferimento più importante per la setta e per lo stesso Carroll.

Nonché suo debitore per sempre.

Ancora, dunque, un insospettabile e ancora un pazzo criminale come il proprio mentore, pronto a uccidere a sangue freddo e a punire come gli è stato insegnato e ordinato.

Joe Carroll, deluso e sconfitto ancora una volta dall'agente Ryan, che sventa il rapimento del suo braccio destro, e frustrato dal non aver raggiunto l'informazione sul rifugio dove è tenuta protetta l'ex moglie, decide di punire uno dei rapitori che avrebbe dovuto uccidere l'agente Mike.

E lo fa con estrema lucidità e piacere e con il benestare e la complicità dello stesso membro della setta, che decide di immolare la propria vita per la causa di Carroll e per dare un significato alla propria esistenza. E' la scena che segna l'apoteosi del pensiero del killer, della sua capacità di monopolizzare la mente e i corpi dei suoi adepti e della sua onnipotenza materiale.

Il male come arte della maieutica. E nessuno ne è al riparo.

 

Joe Carroll è evaso. L'ultimo episodio di The Following è stato una sorta di conferma per tutti gli appassionati e i curiosi della serie. Che il serial killer si stesse preparando a raggiungere i suoi adepti lo si intuiva dalla serenità e dalla lucidità di quest'ultimo (sempre preciso e infallibile nel dare ordini) ma soprattutto dalla “morsa” con cui i follow stavano stringendo le forze di polizia, sventando e vanificando tutte le loro azioni e tutti i loro interventi. Se nei precedenti episodi, infatti, la determinazione degli agenti del FBI e in particolare di Ryan Hardy facevano sperare a una studiata strategia per individuare e portare allo scoperto i seguaci di Carroll, nell'ultima puntata lo spettatore comprende che in realtà il lavoro della polizia è solo quello di tamponare o circoscrivere il più possibile i danni reali e collaterali della setta. Ryan Hardy lo dice chiaramente: “non sappiamo chi sono né che faccia hanno”. Soprattutto non esiste il seguace tipo di Carroll. I follow possono essere chiunque. Come già anticipato su queste pagine, il serial killer protagonista della serie non esclude l'aiuto di nessuno, non si chiede chi può fare al suo scopo. I seguaci servono per far crescere e progredire il “movimento” e vanno benissimo; ma se Carroll ha bisogno di qualsiasi altra persona per portare a termine i propri piani...allora se la prende e basta. Ovviamente con la forza o con il ricatto. Ci ha fatto le spese la giovane avvocatessa, diventata suo malgrado portavoce del serial killer e poi uccisa dallo stesso durante la fuga, ma ci ha rimesso anche il capo della sezione del FBI con cui sta collaborando Hardy. Carroll gli fa sequestrare la figlia, studentessa al college, e lui cede e organizza la fuga del killer appoggiando la richiesta di trasferimento dei suoi legali. L'evasione di Carroll è ovviamente l'evento che tutti gli adepti della sua setta attendono con trepidazione. La macchina dell'organizzazione si mette in moto in maniera programmatica ed efficace e i follow non esitano ( anche questa volta) a uccidere, ferire, sopprimere chiunque si metta sulla loro strada. Ryan Hardy e compagni sembrano arrancare. Carroll è più preciso, organizzato, furbo e carismatico di loro. E' sempre un passo avanti. E quando arriva la polizia la tragedia annunciata è già stata consumata. Lo spettatore sente e soffre la frustrazione degli agenti del FBI, guarda con i suoi occhi le uccisioni e le violenze che si sarebbero potute evitare. A volte anche per pochi secondi. Invece i follow di Carroll sono tanto spietati quanto avanti a tutti gli altri. Precisi come soldati o killer professionisti ognuno svolge alla perfezione il suo compito e spesso gli uni non sanno degli altri. E così il leader aiutato per amore e per forza, evaso con grande stile e classe, giunge alla sede ufficiale della sua setta. Il suo arrivo è quello di un vero messia. A uno a uno gli abitanti della grande villa nascosta escono per accoglierlo ma anche per vederlo per la prima volta di persona. Neppure Carroll conosce tutti i suoi seguaci. Solo Emma, la sua follow più fidata ed esperta riceve il suo abbraccio. Con il leader fuori la setta non può che espandersi e diventare ancora più pericolosa. I prossimi episodi saranno i più importanti per gli spettatori di The Following e praticamente gli ultimi previsti dalla prima serie, che finirà tra qualche settimana.

Cosa siamo se non il frutto della nostra educazione? Siamo quello che ci hanno insegnato, ma anche quello che abbiamo scelto di essere. E' l'educazione siberiana: dura, spietata, romantica e implacabile. Ti segna la pelle, come i tatuaggi che alcuni dei protagonisti portano e che sottolineano un'altra chiave di lettura del film: la trasmissione del sapere e l'ostinazione dei protagonisti nel dare un senso alla vita, codificarla attraverso segni e usanze.

Il rischio di banalizzare l'omonimo romanzo di Nicolai Lilin, libro potente e epico, ricco di spunti narrativi, era dietro l'angolo. Ma Salvatores ha schivato il pericolo lavorando (bene) sulla sceneggiatura, scegliendo di aggiungere una dimensione più ampia, che abbraccia 10 anni e aggiunge un finale inedito.

La Russia, lo sfondo (freddo) del film, a cavallo tra la fine dell'epopea sovietica e l'inizio del nuovo corso democratico, una linea immaginaria che segna implacabilmente anche i rapporti umani. Un film in costume che documenta con dovizia un mondo che non c'è più. Ma la centralità del cinema di Salvatores, come sempre, è la narrazione dei rapporti umani, l'amicizia, la lealtà, l'amore e come questi si evolvono e involvono.

Questo filtrato dagli "siberiani", discendenti degli Urca deportati da Stalin, stirpe criminale in decadenza, che cerca con i denti di resistere alla meschinità della corruzione e dalla modernità alle porte, che solletica nell'uomo moderno il sogno della ricchezza facile. E poi l'odio nei confronti del potere e dei suoi strumenti istituzionali: l'esercito, la polizia, i banchieri e anche i criminali corrotti, quelli che trafficano droga. I siberiani contro tutti.

 

Di fatto Educazione Siberiana è il film più ambizioso e coraggioso del regista milanese. Salvatores osa e riesce a trasmettere quel baratro (la modernità incipiente) nel quale il fiero popolo siberiano è destinato a cadere: sequenze epiche (il fiume in piena), scene di combattimento corpo a corpo e incisi cinematografici destinati a rimanere impressi nella memoria dello spettatore (la scena della giostra su tutte, con sottofondo Absolute Beginners di Bowie, scelta  a sostegno narrativo della condizione dei ragazzi, adolescenti che si affacciano nel mondo).

Ma il centro del film rimane l'epoca dell'educazione e il protagonista di questa storia, il nonno Kuzja (il superbo John Malkovich), il maestro d'armi, il vecchio carismatico che trasmette valori e ideali al giovane Kolima. L'educazione di cui parlavamo all'inizio, insegnamenti che si possono fare propri o che possiamo buttare al vento, come semi che non germoglieranno mai più.

 

 

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