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All'orizzonte solo verdi colline e viali di cipressi: in questo paesaggio bucolico sorge Borgo Tepolini, un resort di charme gestito da Antonino De Pasquale e Giuseppe Quattrocchi.
A quarant’anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini – avvenuta tragicamente il 2 Novembre del 1975 – il teatro Franco Parenti presenta “Siamo tutti in pericolo”, dal 27 ottobre.
Siamo tutti in pericolo nasce da “Lettere Luterane”, gli ultimi articoli che Pasolini scrisse per “Il Mondo” e “Il Corriere della Sera” nel 1975, anno della sua morte, e dall’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo il giorno prima di essere ucciso. Un grido d’allarme lucido e disperato sull’inevitabile declino della nostra civiltà, che alla luce degli avvenimenti odierni suona straordinariamente profetico.
Daniele Salvo si forma alla Scuola del Teatro Stabile di Torino diretta da Luca Ronconi, con il quale ha collaborato per 15 anni come attore, regista assistente e collaboratore alla drammaturgia. Si è perfezionato alla Royal Shakespeare Company di Straford Upon Avon (Unione Teatri d'Europa) e al Teatro di Roma.
Pier Paolo Pasolini incarna più di ogni altro la figura dell’intellettuale che afferma con vigore il valore dell’uomo, difensore dell’ideale e di quel “privilegio del pensare” che oggi a pochi appartiene. La sua poesia colpisce il cuore senza mediazioni, divenendo atto politico perché sincera, in un mondo codificato, dove si agisce sempre in vista di qualche vantaggio. La voce del poeta ci fa ancora intravedere nella nebbia una via possibile.
Daniele Salvo
Sala Grande 27 ottobre - 1 novembre 2015 Siamo tutti in pericolo L’ultima intervista di Pier Paolo Pasolini Regia e drammaturgia Daniele Salvo con Gianluigi Fogacci, Raffaele Latagliata e Michele Costabile Produzione La Fabbrica dell'Attore – Teatro Vascello in collaborazione con Fahrenheit 451 Teatro |
In occasione della replica del 29 ottobre di Lettere luterane. Pasolini e il Palazzo conversazione con Roberto Chiesi e Giuseppe Genna
Ore 18,30 - Café Rouge - Biglietto TFP cortesia 3,50€
Roberto Chiesi è critico cinematografico e responsabile del Centro Studi - Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna.
Giuseppe Genna è scrittore e critico letterario.
PREZZO Biglietti intero 25€;under26/over60 14€;convenzionati 17,50€(prevendita 1,50 €)
ORARI mar,sab h20.30- mer,ven h19.30- gio h21;dom.15.30
INFO
Tel : 02 59 99 52 06; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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120 ANNI DI CINEMA DEL REALE è la rassegna dedicata ai film che hanno fatto la storia del cinema documentario, dall’era del muto ai giorni nostri, ospitata dal 2 al 30 giugno 2015 presso il Museo Interattivo del Cinema, Fondazione Cineteca Italiana.
Un documentario si pone nei confronti del reale con l’intenzione di restituirlo così come si presenta all’obbiettivo della macchina da presa. È un film senza sceneggiatura o interpreti, un genere vecchio che col tempo è stato relegato a spettacolo di nicchia, non in grado di competere con quello narrativo. Tuttavia, si è dimostrato capace di conquistare il grande pubblico.
La rassegna comprende una selezione di lungometraggi e cortometraggi che hanno segnato l’evolversi del cinema del reale e del suo linguaggio. Per impreziosire la retrospettiva, prima di ogni spettacolo verrà proiettata una veduta realizzata dagli operatori Lumière in Italia.
La retrospettiva inizia da Nanuk l’eschimese (1922), capolavoro di Robert J. Flaherty, il primo cineasta, insieme a John Grierson, ad aver canonizzato il cinema del reale. Saranno proiettati anche Tabù (1931), figlio della collaborazione con Friedrich W. Murnau, e L’uomo di Aran (1934), cronaca di una giornata di una famiglia irlandese di pescatori. Altro film chiave è lo splendido Finis Terrae (1929) di Jean Epstein. Non mancano i documentari più affini alle avanguardie degli anni Venti, quali Pioggia (1929) di Joris Ivens e À propos de Nice (1930) di Jean Vigo. Sempre di Ivens, grande documentarista olandese, saranno proiettati Il ponte (1928), Borinage (1934), Pour le Mistral (1965), Io e il vento (1988).
Non mancano le opere italiane, a partire da quelle di Pier Paolo Pasolini: Appunti per un film sull’India (1964), Appunti per un’Orestiade africana (1970), Comizi d’amore (1964) e Le mura di Sana’a (1971). Seguono i documentari industriali di Ermanno Olmi (1955-1958); il resoconto del viaggio di Roberto Rossellini in India (1959); Il pianeta azzurro (1981) di Franco Piavoli; il Sacro GRA (2013) di Gianfranco Rosi, vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia; e infine un omaggio a Luigi Comencini (I bambini e noi, 1970) e Alberto Lattuada (La nostra guerra, 1945), co-fondatori nel 1947 della Cineteca Italiana.
Conclude la rassegna una selezione di documentari che hanno incantato la critica contemporanea. La scuola americana è rappresentata da Frederick Wiseman (La Danse, 2009) e da Michael Moore (Bowling a Columbine, 2002). I grandi maestri del cinema tedesco Werner Herzog e Wim Wenders sono presenti con Grizzly Man (2005) e Cave of Forgotten Dreams (2010) di Herzog e Il sale della terra (2014) di Wenders sul lavoro del fotografo Juliano Ribeiro Salgado. Infine, in calendario il capolavoro di Joshua Oppenheimer L’atto di uccidere (2012).
120 ANNI DI CINEMA DEL REALE MIC – MUSEO INTERATTIVO DEL CINEMA Viale Fulvio Testi 121, Milano Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. www.cinetecamilano.it
INFO PREZZI: Biglietto d’ingresso intero: € 5,50 Biglietto d’ingresso ridotto: € 4,00 Biglietto d’ingresso adulto + bambino: € 6,00
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Dal 24 al 29 maggio 2015 doppio appuntamento dedicato a Pier Paolo Pasolini. Spettacolo "La Ricotta, capolavoro cinematografico di Pier Paolo Pasolini portato in scena da Antonello Fassari” e mostra “L'oriente di Pasolini” Il fiore delle mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa al Teatro Franco Parenti.
24-29 maggio 2015
Sala Grande
Antonello Fassari
LA RICOTTA
di Pier Paolo Pasolini
Con Antonello Fassari, Adelchi Battista
Produzione Teatro Franco Parenti
La Ricotta è un cortometraggio del 1963, piccolo capolavoro diretto Pier Paolo Pasolini. È un film dentro un film: il racconto di un set cinematografico dove si sta girando la Passione di Cristo.
Il protagonista è Stracci, che interpreta il buon ladrone, affamato per aver lasciato alla moglie e ai sette figli il suo cestino, nelle pause delle riprese cerca del cibo, vivendo un personale e parallelo calvario. Intorno a lui si muove la troupe cinematografica, incarnata da un’umanità da corte dei miracoli: produttore, giornalista, regista, quasi marionette, la Maddalena e tante comparse. Nella messinscena di Fassari, nata nel 2004, tutto è raccontato in modo scenograficamente minimalista: un tavolo e una sedia di legno, una poltroncina da regista e una postazione per violoncello dove la musica accompagna l’attore nella sua straordinaria performance. Con la sola voce abilmente modulata, in quel misto tra italiano e dialetto romano tanto caro a Pasolini, e una calamitante gestualità, Fassari riesce a recitare tutti i ruoli, a descrivere e spiegare tutte le situazioni, con il solo aiuto dei giochi di luci e delle musiche, composte e interpretate sulla scena da Adelchi Battista.
“Non è difficile prevedere per questo mio racconto dei giudizi interessati, ambigui, scandalizzati. Ebbene, io voglio qui dichiarare che comunque si prenda “la ricotta”, la storia della Passione, che indirettamente “la ricotta” rievoca, è per me la più grande che sia mai accaduta, e i testi che la raccontano i più sublimi che siano mai stati scritti.” Pier Paolo Pasolini
In contemporaena
Dal 24 al 29 maggio 2015
orari 10.30/14 - 16.30/21.00
L’ORIENTE di PASOLINI
"Il fiore delle mille e una notte"nelle fotografie di ROBERTO VILLA
INGRESSO GRATUITO
La mostra, curata da Virginia Monteverde, vede l'esposizione di un gruppo di fotografie scelte fra oltre 270 immagini, scattate da Villa durante le riprese del film Il fiore delle mille e una notte.
L'incontro fra Pier Paolo Pasolini e Roberto Villa avvenne a Milano nel 1973. Fu lo stesso regista a invitare il fotografo a seguirlo in Iran e nello Yemen, per seguire le fasi di lavorazione del film nel suggestivo scenario delle città di Isfahan e di Sana’a, . Villa rimase sul set per ben cento giorni e oggi, attraverso i suoi scatti, abbiamo a disposizione uno straordinario documento che ci mostra Pasolini e la sua troupe al lavoro sul set del film che il grande regista ha scelto come ultimo capitolo della sua Trilogia della vita. Non un semplice backstage, ma una rappresentazione reale e fiabesca al tempo stesso delle persone e dei luoghi che fanno da sfondo all'opera di Pasolini.
Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
PER LO SPETTACOLO PREZZO Platea I settore - 40€;Platea II settore - 32€;over60 18€ - under26 15€;III settore - 25€ over60 18€ - under26 15€
ORARI domenica 24 maggio ore 20.30;lunedì 25 maggio ore 20.30;martedì 26 maggio ore 21.15;mercoledì 27 maggio ore 19.30;giovedì 28 maggio ore 21.15;venerdì 29 maggio ore 19.30;
INFO
www.teatrofrancoparenti.it Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.02 59 99 52 06
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Fondazione Cineteca Italiana presenta “Pasolini e i 50 anni del Vangelo” allo Spazio Oberdan. Dal 24 al 28 novembre la rassegna celebra il grande regista e scrittore con la proiezione di cinque tra i suoi capolavori, un documentario a lui dedicato e il recente film di Abel Ferrara che ricostruisce il suo ultimo giorno di vita.
Il Vangelo secondo Matteo usciva cinquanta anni fa. Fu un’opera controversa ma che lascia ancora oggi sbalorditi davanti alla sua potenza espressiva e alla capacità di coniugare alla perfezione sacro e senso filmico. Lo stesso Pasolini la definì “Un concreto atto di dialogo fra un comunista, seppure non iscritto al partito, e le forze più avanzate del cattolicesimo italiano”. La pellicola è riproposta all’interno dell’iniziativa in una copia recentemente restaurata.
Tra gli altri film del maestro proposti ricordiamo Mamma Roma, che vanta un’incredibile Anna Magnani, e l’intramontabile Uccellacci e Uccellini, opera che propone con una forma innovativa i problemi degli anni Sessanta, come la crisi del marxismo, il destino del proletariato, il ruolo dell'intellettuale e l’approssimarsi del Terzo Mondo.
È in cartellone anche Pasolini, un delitto italiano, documentario di Marco Tullio Giordana. Si tratta della ricostruzione in forma di “docudrama”, del processo contro Pino Pelosi, indicato dai più come l’esecutore dell’omicidio ancor oggi misterioso di Pier Paolo Pasolini.
INFO
Fondazione Cineteca Italiana
Tel. 02 87242114
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www.cinetecamilano.it
Biglietti:
Intero 7,00 €
Ridotto per possessori di Cinetessera o studenti universitari 5,50 €
Proiezione pomeridiana feriale:
Intero 5,50 €
Ridotto 3,50 €
Cinetessera annuale: 6,00 € (valida anche per le proiezioni al MIC – Museo Interattivo del Cinema - e all’ Area Metropolis 2.0 di Paderno Dugnano)
Calendario manifestazione
Lunedì 24 novembre, 21.00 – Pasolini
R.: Abel Ferrara. Sc.: Maurizio Braucci. Int.: Wilem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Adrana Asti, Maria de Medeiros. Francia/Belgio/Italia, 2014, col., 87’.
Martedì 25 novembre, 21.00 – Il vangelo secondo Matteo
R. e sc.: Pier Paolo Pasolini. Fot.: Tonino Delli Colli. Mont.: Nino Baragli. Int.: Enrique Irazoqui, Susanna Pasolini, Mario Socrate, Francesco Leonetti, Natalia Ginzburg, Ninetto Davoli, Alfonso Gatto, Enzo Siciliano.
Italia, 1964, b/n, 137’.
Mercoledì 26 novembre, 17.00 – Mamma Roma
R. e sc.: Pier Paolo Pasolini. Int.: Anna Magnani, Ettore Garofano, Franco Citti, Paolo Volponi, Lamberto Maggiorani, Vittorio La Paglia. Italia, 1962, b/n, 105’.
Mercoledì 26 novembre, 19.00 – Accattone
R. e sc.: P.P. Pasolini. Int: Franco Citti, Franca Pasut, Adriana Asti, Silvana Corsini, Luciano Conti, Mario Cipriani. Italia, 1961, b/n, 116’.
Mercoledì 26 novembre, 21.15 – Pasolini
Giovedì 27 novembre, 17.00 – Pasolini
Giovedì 27 novembre, 19.00 – Pasolini, un delitto italiano
R.: Marco Tullio Giordana. Sc.. M.T. Giordana, Stefano Rulli, Sandro Petraglia. Int.: Toni Bertorelli, Nicoletta Braschi, Massimo De Francovich, Carlo De Filippi, Andrea Occhipinti. Italia, 1995, col., 94’.
Giovedì 27 novembre, 21.15 – Uccellacci e uccellini
R. e sc.: Pier Paolo Pasolini. Int.: Totò, Ninetto Davoli, Femi Benussi, Riccardo Redi, Vittorio La Paglia, Francesco Leonetti. Italia, 1965, b/n, 88’.
Venerdì 28 novembre, 16.30 – Il vangelo secondo Matteo
Venerdì 28 novembre, 19.00 – Teorema
R. e sc.: Pier Paolo Pasolini. Mont.: Nino Baragli. Int: Terence Stamp, Silvana Mangano, Massimo Girotti, Laura Betti, Ninetto Davoli, Alfonso Gatto. Italia, 1968, col., 98’.
Venerdì 28 novembre, 21.15 – Pasolini
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Stare seduti nascosti al buio, guardare le immagini che l'obiettivo, intrufolato oltre le porte chiuse, ruba ad attori compiacenti. La posizione dello spettatore ha sempre qualcosa di voyeuristico, se poi si tratta di un film erotico...
Ecco quindi dieci pellicole dal sapore piccante che si sono ritagliate per vari meriti e curiosità un posto nella storia del cinema.
1933, un industriale austriaco cerca di far scomparire tutte le copie del film girato dalla moglie. Il motivo? Per la prima volta un nudo femminile integrale fa bella mostra di sé sul grande schermo. Le grazie sono quelle di Hedy Lamarr, l'opera si chiama Estasi e racconta di una giovane insoddisfatta dal marito anziano, volgare e tutt'altro che focoso. Eva lo lascia per un ritorno alla natura presso la fattoria paterna, dove incontra il suo Adamo con cui si abbandona alla liberazione delle pulsioni in un'atmosfera di sensualità bucolica.
Italia, primissimi anni settanta: scandali e censure. Nel 1972 esce tra forti polemiche Ultimo tango a Parigi: il famoso panetto di burro rappresenta l'apice del rapporto, solo carnale, tra Paul e Jeanne, privo di sentimenti e di nomi, in un appartamento che lascia il mondo fuori. “Esasperato pansessualismo fine a se stesso”, con queste parole il film viene ritirato dalle sale, a dimostrazione di come la censura abbia ben compreso il senso della relazione tra i protagonisti, troppo scomodo e da cancellare.
Il censore è già intervenuto l'anno precedente, ma per motivi diversi, nei confronti di un altro maestro del cinema italiano: Pier Paolo Pasolini, che trasferisce le novelle del Decameron a Napoli, per la prima parte della sua Trilogia della vita. Qui il sesso assume un significato gioioso: mentre fuori infuria la peste nera, le novelle celebrano la vitalità ingenua e innocente dei corpi, che si fa beffa della morte. Libertà eccessiva per l'epoca: pellicola sequestrata.
Un effetto collaterale del Decameron è il proliferare dei “decamerotici”, film di infimo valore ma di grande successo per un pubblico guardone. L'ambientazione medievale offre possibilità narrative, quali avvenenti nobildonne oppresse da cinture di castità, mariti gelosi ed ottusi, stratagemmi contadini e clero di dubbia moralità.
Tra tutti il celebre Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972), il cui livello poetico è interamente contenuto nella rima del titolo. La trama non è altro che una serie di pretesti per far spogliare Edwige Fenech e Karin Schubert, intervallati da gag piuttosto fiacche. Ma resta a suo modo un cult.
Nel 1974 arriva dalla Francia un altro notevole successo di pubblico, in confezione raffinata e patinata, Emmanuelle. L'immagine-manifesto di Sylvia Kristel nuda e svogliata su una sedia di vimini racchiude gli elementi del film: una giovane dagli occhi trasparenti, oziosa e insoddisfatta, che si apre alle emozioni offerte dal connubio erotismo-esotismo. L'attrice resterà poi imprigionata in un'inutile serie di sequel.
1975, Russ Meyer lo definisce “la sintesi di tutti i miei film”, è Supervixens: eccessivo e strabordante come le forme delle sue eroine, una sequela di scene di sesso e violenza tanto ingenue e inverosimili da risultare innocue, nel tipico stile cartoonesco del regista californiano, concluse da un significativo “That's All Folks!”. Pop e pulp.
L'anno successivo, a Cannes, i critici si entusiasmano per Ecco l'impero dei sensi, opera rigorosissima del nipponico Nagisa Oshima, che trae da una storia vera il tragico estraniarsi dal resto del mondo di due amanti in un susseguirsi ossessivo di rituali d'accoppiamento sempre più estremi, nel tentativo di impadronirsi letteralmente dell'altro. La macchina da presa aderisce ai corpi, mentre Thanatos, compagna di Eros, resta in agguato.
Ritroviamo l'eterno binomio Amore-Morte ne La legge del desiderio (1987), pellicola che decreta il successo in Italia dello stile trasgressivo ed eccessivo di Pedro Almodòvar, poi mitigato e maturato nel corso degli anni. Un intreccio di amori omosessuali impossibili ad altissimo tasso di passione, in cui ognuno è trascinato dalla legge che dà titolo al film, a partire dal protagonista Pablo, regista gay, evidente alter ego dell'autore.
Non è certo la sua opera migliore, ma è l'ultima (e Kubrick è sempre Kubrick), Eyes Wide Shut (1999). La coppia Cruise-Kidman viene messa a nudo, la solidità della loro relazione abitudinaria, scossa dall'esplorazione della trasgressione, reale o immaginaria che sia. Il sesso come apparenza, ma anche come turbamento, ritualizzato in una magistrale sequenza orgiastica con corpi privi di passione.
Per chiudere andiamo prima a Hollywood e poi torniamo in Giappone: non un intero film, ma tre sequenze leggendarie. Per la prima basta un accenno della voce di Joe Cocker, “Baby, take off your coat... real slow”, e subito si materializza l'immagine di Kim Basinger maliziosamente seminascosta da una tapparella: lo spogliarello più celebre del cinema, offerto agli occhi di Mickey Rourke. Stiamo parlando, naturalmente, di 9 settimane e ½ (1986).
Per la seconda, visto che lo spettatore è sempre un po' voyeur, ecco gli sguardi bramosi e i respiri sospesi dei detective che ispezionano l'accavallamento di gambe di Sharon Stone: il meglio di Basic Instinct (1992).
L'ultima scena è quella delle pratiche sadomaso di Ai (Miho Nikaido) in Tokyo Decadence (1991). Tratto dal romanzo Topâzu del regista e scrittore Ryu Murakami, la pellicola è un tuffo nei più estremi costumi sessuali nipponici, brutalmente mischiati allo squallore di una megalapoli in disfacimento.
Sono passati dieci anni dalla morte di Carmelo Bene. Dieci anni in cui l’Italia, assieme al suo panorama culturale e sociale, ha conosciuto profondi cambiamenti, diventando un paese in cui sembra che le arti espressive fatichino a trovare una propria dimensione. Ma in questi anni la figura dell’eclettico Carmelo Bene non ha cessato di suscitare interesse e fascino, anche nelle generazioni più giovani.
Carmelo Bene nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel 1937.
Bene svolge i primi studi classici presso un collegio di gesuiti e nel 1957 si iscrive all'Accademia d'Arte Drammatica per lasciarla appena l'anno dopo, definendola semplicemente inutile. Dal 1959 inizia la sua carriera di attore e regista teatrale, sempre orientato verso la rielaborazione dei classici; rielaborazioni che, in realtà, erano veri e propri esercizi di decostruzione e smembramento, ma che lui si limitava a definire semplicemente come “variazioni”.
Il centro della riflessione artistica di Bene è una radicale riconsiderazione della parola e dell’immagine: egli applica ai suoi spettacoli teatrali una quantità tale di erudizione, di impegno teoretico e di ricerca, che solo un filosofo potrebbe applicare in un trattato. Sperimentatore assoluto (si avvarrà spesso di sofisticate apparecchiature elettroniche costituite da amplificatori, microfoni ipersensibili, monitor-spie da diecimila watt) egli tenta il superamento della dimensione linguistico-comunicativa attraverso la manipolazione tecnica del significante.
Fu così che, in poco tempo, l’attore-autore riuscì a far parlare di se’, facendo esplodere in Italia un vero e proprio “caso Carmelo Bene”: portato alla ribalta della cronaca artistica, Bene affascinò personaggi del calibro di Pier Paolo Pasolini, il quale lo volle come interprete del suo Edipo Re e con il quale ebbe inizio la sua parentesi cinematografica.
Nel 1965 Bene si avvicinò al mondo della scrittura, pubblicando il romanzo Nostra signora dei turchi, che verrà messo in scena l'anno seguente. Trasformato in film, Nostra signora dei turchi venne presentato al festival del cinema di Venezia, dove ricevette il premio speciale della giuria. Seguirono altri film: Capricci (1969), Don Giovanni (1970), Salomè, (1972) e Un Amleto in meno (1973), con cui si concluse la sua esperienza cinematografica.
Nel 1974, torna al suo primo vero amore, il teatro, proponendo una sconvolgente interpretazione de La cena delle beffe, la quale aprì la strada ad una svolta "concertistica" che culminò con il poema sinfonico Manfred, del 1980, costruito su musiche di Schumann ed apprezzato tanto dalla critica quanto dal pubblico.
Negli stessi anni Bene porta sulle scene i grandi classici della poesia italiana, sono memorabili le sue interpretazioni dei Canti orfici di Dino Campana, dei Canti leopardiani e le sue letture dantesche; performance che sono viste ancora oggi tra gli omaggi più toccanti e sentiti che un attore abbia potuto fare alla poesia.
Lui stesso nel 2000, pubblicando la raccolta ‘L mal de’ fiori, si cimentò con la scrittura in versi, vista da Bene come la possibilità ultima di una ricerca linguistica che doveva culminare verso un totale e vero “svuotamento” . Sarà proprio lui a dire, in un’intervista:
“Nel 'mal di questi fiori' si fa sempre più solare il fatto che laddove il tutto possa sembrare una eruzione vulcanica, è invece somma-sottrattiva che, mediante le più svariate soluzioni chimico-linguistiche, via via si svuota.”
Incensato da filosofi del calibro di Gilles Deleuze, ma quasi totalmente incompreso dagli intellettuali italiani del suo tempo, Bene si cimentò anche in performance televisive (memorabili le sue due apparizioni al Maurizio Costanzo show, dove esordì con la frase “È con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti”) nelle quali seppe fare sfoggio di tutte le sue doti di provocatore e seduttore delle masse.
Ma al di là dell'idea provocatoria ed eccessiva che Carmelo Bene ha potuto suscitare, resta viva la potenza di una ricerca radicale dell’uomo e dell’ “artista in quanto uomo”, di una personalità mai sottoponibile a schematizzazioni, ma anzi generosa in maniera multiforme anche se contraddittoria. Per citare le sue medesime parole: “Il problema è che l'io affiora, per quanto noi vogliamo schiacciarlo, comprimerlo. Ma finalmente, prima o poi, questa piccola volontà andrà smarrita. Come dico sempre: il grande teatro deve essere buio e deserto".
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