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Grande lutto nel mondo dello spettacolo per la morte di Paolo Villaggio, grande attore comico italiano famoso soprattutto per aver dato vita al personaggio di Fantozzi.
Il 26 gennaio e il 2 febbraio saranno le due ultime occasioni per assistere ad uno spettacolo entusiasmante e coinvolgente, in cui è il pubblico a fare da protagonista.
All'Out Off va in scena Discoteque Machine, il primo show interattivo ideato da Gianmarco Pozzoli (Zelig, Colorado, Un passo dal cielo) e Alice Mangione (Mai dire Martedì, La prova dell'otto, Glob-diversamente italiani) in collaborazione con Morphsuits.
Uno spettacolo in cui la scena è prevalentemente affidata alle 3 Creature, ovvero Gianmarco Pozzoli, Alice Mangione e David Labanca. I tre attori rappresentano un nucleo famigliare muto e senza volto, indossando per tutto lo spettacolo delle Morphsuits, vale a dire delle tute aderenti che li coprono interamente (volto compreso) e che riescono a spersonalizzare completamente il trio, come fossero maschere antiche.
Ma l'aspetto più importante ed innovativo di questo show è la partecipazione degli spettatori, che a gruppi di 6 persone sono invitati a vincere la propria timidezza ballando all'interno di postazioni fluorescenti disegnate per terra. Il pubblico collabora e diventa una parte fondamentale dello spettacolo, senza inventarsi nulla, però: tutto, infatti, è alimentato dall'entusiasmo stesso ed è guidato dalla Voce che dirige e dà le regole dei round.
Ogni esibizione di Discoteque Machine si trasforma, quindi, in una serata unica, proprio perché i protagonisti cambiano sempre, e la playlist tutta da ballare è molto ricca e varia, tra cui risalta la sigla originale scritta da Gianni Resta.
Uno spettacolo liberatorio, divertente e coinvolgente, dove le persone possono esprimersi e svagarsi come preferiscono. Una serata pop, insomma, adatta sia agli spettatori più esperti che a chi non ha mai messo piede a teatro.
DISCOTEQUE MACHINE - The Morphsuits Show
con Gianmarco Pozzoli, Alice Mangione, David Labanca, Eros Ryan Fusco
Regia di Gianmarco Pozzoli
Scritto da Gianmarco Pozzoli e Alice Mangione
Coreografie Mauro Marchese
Sigla Originale Gianni Resta
Music Designer Andrea Giomi
Props Designer Nadia Baiardi
Costumi Morphsuits®
Disegno Luci Pietro Bardelli
Foto Carlo Furgeri Gilbert
26 gennaio e 2 febbraio
TEATRO OUT OFF
Via Mac Mahon 16 – Milano
Prevendite: https://www.mioticket.it/teatrooutoff/default.asp
[gallery type="rectangular" ids="36095,36092,36097,36088,36087,36090,36089"]Presso la Sala Alda Merini - Spazio Oberdan della Provincia di Milano arriva il documentario presentato al festival di Roma 2012: un ritratto divertente, intimo e sincero di Carlo Verdone, che da trent’anni riesce a farci ridere e pensare. Gianfranco Giagni e Fabio Ferzetti, autori del film, sono riusciti ad analizzare le molte facce del “mito” Verdone: dell’artista parlano i suoi indimenticabili personaggi, le scene dei suoi film, le molte testimonianze di attori e collaboratori; dell’uomo Verdone parlano i suoi familiari e soprattutto lui stesso, seduto su una sedia, in uno studio teatrale, disposto a confessare i dubbi e le fragilità, a ripercorrere i momenti più importanti della sua vita e della sua carriera, sempre indossando lo sguardo, i gesti, la mimica e il tono di voce di chi sembra quasi non voler disturbare troppo.
Scheda del film
R.: Gianfranco Giagni, Fabio Ferzetti. Mont: Roberto De Bonis. Int.: Carlo Verdone, Margherita Buy, Pierfrancesco Favino, Goffredo Fofi, Claudia Gerini, Marco Giallini, Eleonora Giorgi, Laura Morante, Micaela Ramazzotti, Toni Servillo, Giulia Verdone, Luca Verdone, Paolo Verdone. Italia, 2012, col, 75’.
Carlo Verdone e il suo cinema visti da dentro. Gli attori, le attrici, i collaboratori, gli amici, la famiglia, le strade e le voci di Roma, il gioco infinito di riflessi da cui nascono personaggi, caratteri, storie. Ma anche la capacità di osservazione, l’uso del corpo e della voce, la nascita e la psicologia dei personaggi maschili, il rapporto complicato con quelli femminili. E poi i film e gli attori di riferimento, il rapporto con il pubblico, la casa in cui è cresciuto, l’importanza della figura paterna, gli studi al Centro Sperimentale. Il tutto ripercorso nei luoghi più tipici del cinema di Verdone, Ostia, Ponte Sisto, Cinecittà, in un viaggio contrappuntato da foto e filmati inediti. Un gioco a tratti spassoso ma serio fra le proprie ansie e quelle dei suoi personaggi, le loro “patologie” e quelle del paese in cui vivono, che forse è la chiave di un cinema molto meno leggero di quanto sembri.
Calendario
MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE h 21.15
VENERDÌ 20 DICEMBRE h 19.30
DOMENICA 22 DICEMBRE h 17.00
GIOVEDÌ 26 DICEMBRE h 19.00
VENERDÌ 27 DICEMBRE h 17.00
SABATO 28 DICEMBRE h 19.00
MODALITÀ D’INGRESSO
Biglietto d’ingresso:intero € 7,00
Biglietto d’ingresso ridotto per possessori di Cinetessera: € 5,50
Spettacoli delle ore 15 e 17 dei giorni feriali: intero € 5,50, ridotto per i possessori di Cinetessera € 3,50
Fondazione Cineteca Italiana
Viale Vittorio Veneto 2, Milano
Sala Ada Merini- Spazio Oberdan
Sabato 25 maggio 2013 alle ore 21 allo Spazio Teatro Idra ci sarà il terzo appuntamento con il Premio per le arti in memoria di Lidia Petroni.
L' iniziativa che promuove il lavoro di ricerca degli artisti lombardi dando loro un'occasione di di visibilità e confronto al fine di supportare i giovani emergenti nella produzione e nella circuitazione di nuove opere.
In gara i tre studi delle compagnie Coop.AttivaMente - Residenza Teatrale Torre Rotonda di Como, Chronos3 di Milano e Compagnia Officina di Brescia.
Durante la serata una giuria di esperti, insieme agli organizzatori di Residenza Idra e al pubblico presente in sala, esprimerà un giudizio con un voto sugli spettacoli visti.
E' possibile anche vedere le compagnie in gara tramite il canale youtube e il profilo facebook di Teatro Inverso.
La Coop. AttivaMente andrà in scena con lo spettacolo Lost in limbo, con Stefano Dragone e Alessia Melfi e la regia di Jacopo Boschini. Una Stanza all’ultimo piano di un elegante e moderno palazzo, in una zona appena fuori dal centro città, ma che ancora non è periferia. La Stanza è scarsamente arredata. Al centro della parete di fondo, proprio di fronte all’ingresso, una porta si apre su altri ambienti. Davanti a questa porta, tracciata per terra, una linea bianca. Nella Stanza ci lavora una giovane psicologa. Il suo compito è di assistere i tossicodipendenti, senza mai oltrepassare la linea bianca per terra, che giungono lì per iniettarsi, legalmente, la droga. Poi un giorno nella Stanza entra un uomo... Lost in limbo indaga gli abissi della mente umana. La protagonista, infatti, viene attratta in un mondo oscuro, fatto di segreti, inganni, mezze verità. Un mondo che corrompe e che divora, dentro al quale, una volta che ci si è entrati, difficilmente se ne può uscire.
I Chronos3 presentano Funziona meglio l'odio di Emanuele Aldrovandi, con Isabella Picchioni e Marcello Mocchi e con la regia di Vittorio Borsari. Si può fare del male a fin di bene? Funziona meglio l’odio, testo di Emanuele Aldrovandi, segnalato al Premio Hystrio 2012, mette in scena le storie di Batman e Lucy: lui, un ragazzo di trent’anni a cui uno stupratore ha ucciso la fidanzata, intraprende una personale crociata con l’obiettivo di far calare radicalmente le violenze sulle donne. Lei è una venticinquenne che non ha denunciato uno stupro e aspetta l’occasione per vendicarsi. Entrambi hanno un piano, ed entrambi i piani prevedono la violenza. L’urgenza di affrontare un tema purtroppo così attuale come la violenza sulle donne nasce dall’intento civile di far parlare, in modo inaspettato e inusuale, di un problema troppo spesso giudicato “naturale” e quindi non-risolvibile. Questo attraverso un testo che parte da una tematica contingente per affrontare, con un linguaggio in cui il dramma si mescola all’ironia, la domanda atavica che è alla base della contraddittorietà di molte leggi su cui è fondata la nostra società: è possibile fare del male a fin di bene?
La Compagnia Officina si esibirà nello spettacolo Peter…Echi dall'isola che non c'è, con Irene Tiriani, Antonio Panice e Elisabetta Bettera e con la regia di Fabio Boverio. Il progetto prende il via da una serie di improvvisazioni e di lavori sul testo di Barry, che hanno portato gli attori a trovare propri percorsi, parole e immagini per raccontare, non solo la storia del bambino che non voleva crescere, ma anche un percorso all'interno della loro isola che non c'è. Partendo quindi dal gioco, dall'allusione e dalla metafora si è cercato di giungere a una proposta che si discosta ora di molte leghe dal testo originale, che non racconta più neppure una storia, ma si limita a spaccati di un mondo tanto fantastico da sembrare reale e tanto reale da farci credere a un orizzonte di fantasia. Del resto Peter Pan è forse questo: un volo a capofitto tra foglie e sirene, tra pirati e indiani, tra realtà e sogno, dove i piani si frantumano in specchi, che sì riflettono vicendevolmente, e dove tutti inseguono tutti e nessuno sa più perché stia correndo. "I bimbi sperduti inseguono Peter Pan, i pirati inseguono i bimbi sperduti, gli indiani inseguono i pirati e le sirene stanno ferme", questo dice il testo, e questa giravolta di corse e di inseguimenti è lo stesso percorso che noi cerchiamo di fare in questo lavoro col pubblico, tutti intenti a inseguire un senso che segnerà il traguardo della corsa. Ma intanto, stiamo ancora correndo. Tutti sì perdono nell'Isola che non c'è, e noi con loro.
Biglietto intero: 2 euro (valido per l'intera serata) Tessera Associativa Obbligatoria: 2 euro - 5 euro - 10 euro
Sabato 25 maggio 2013 Ore 21.00 Spazio Teatro Idra Vicolo delle Vidazze 15, Brescia
Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 0303701163 3392968449
La stagione del Teatro della Cooperativa si chiude con un appuntamento imperdibile: dal 21 maggio al 1 giugno va in scena “Stanze comunicanti” (Communicating doors), la comedy thriller di Alan Ayckbourn.
Anno 2033. Poopay, consulente sessuale specializzata (eufemismo per indicare una prostituta "dominatrice") recatasi per una prestazione alla suite 647 dell’hotel Regal di Londra, si vede consegnare dal morente Reece la confessione della propria vita di efferatezze. Cercando di mettersi in salvo da Julian, esecutore materiale dei delitti, si rifugia in quello che sembra essere un armadio a muro e si ritrova… nella stessa suite vent’anni prima, nel 2013. Qui trova la seconda moglie di Reece, che Poopay sa essere stata buttata dalla finestra, proprio in quella stanza, proprio in quella notte. Tra le due donne, diversissime, nasce una progressiva complicità: mentre cercano di mettersi in salvo e di salvare anche la prima moglie del boss con ulteriori viaggi nel tempo, si ritrovano coinvolte in una girandola di paradossali equivoci e di esilaranti situazioni, nel tentativo di convincere quanti incontrano nelle varie epoche di non essere pazzi e che è possibile muoversi tra passato e futuro. Intanto "dietro alla porta del tempo" il killer incombe minaccioso, e si avanza inesorabilmente verso un finale inaspettato.
Paradossi temporali, comicità surreale in una girandola di situazioni assurde sono gli ingredienti principali di questa commedia, che vuole divertire il pubblico senza ipocrisie.
Communicating doors di Alan Ayckbourn
regia Marco Rampoldi
con Alberto Mancioppi, Claudio Moneta, Paola Ornati, Stefania Pepe, Roberta Petrozzi e la partecipazione straordinaria di Max Pisu nel ruolo di Julian.
Dal 21 maggio al 1 giugno
Teatro della Cooperativa, via Hermada 8, Milano
Orari: da martedì a domenica alle 20.45
Prezzi: da 8 a 18 euro
Info e prenotazioni: 02 64749997
e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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È il più grande innovatore del teatro italiano,l’unico che è riuscito ad avvicinarsi all’amarezza,al realismo di Eduardo De Filippo, alla sperimentazione e alla ricerca del teatro newyorkese con la stessa intensità e bravura. Carlo Cecchi dichiara di amare Shakespeare sopra ogni altra cosa, di considerarlo il suo unico maestro, ma poi sulle tavole del palcoscenico offre ai suoi spettatori interpretazioni crude e prive di ogni fronzolo del teatro elisabettiano avvicinandosi alla contemporaneità amara e gotica di Carmelo Bene.
Cecchi sa essere magistrale nella prosa radiofonica e nell’interpretazione cinematografica. Incanta con la sua voce profonda e cupa e con la sua gestualità misurata, intensa, essenziale che ha imparato e sperimentato recitando Cechov, Pirandello, Brecht, Moliere.
Carlo Cecchi è il solo attore italiano vivente che sa essere uno e centomila insieme, ma che sa trasformarsi in “nessuno” quando deve dare l’idea del senso stesso dell’esistenza umana.
Per questo registi importanti e internazionali, ma anche autori esordienti come Martone e Valeria Golino si sono affidati completamente a lui quando si è trattato di portare in scena personaggi difficili, attuali e drammaticamente veri.
In Morte di un matematico napoletano Cecchi rivela al pubblico del grande schermo quanto possa diventare tediosa e insopportabile la vita, anche per un razionale e serioso professore di matematica pura.
Il film è una denuncia sociale delle più dure e Carlo Cecchi rende il personaggio di Renato Caccioppoli così reale e orribile da meritarsi il Premio Speciale al Festival di Venezia.
Nel 2007 gli viene consegnato il premio Gassman come migliore attore teatrale, ma Cecchi ha già girato film come Il bagno turco, Arrivederci amore, ciao, Il violino rosso, Io ballo da sola.
Nato a Firenze nel 1939, dove ha cominciato a recitare poco più che ragazzo, si è fatto conoscere dal grande pubblico e dalla critica con Finale di partita di Samuel Beckett, la più grande interpretazione mai stata fatta del protagonista dell’opera in tutta la storia del teatro.
Per Carlo Cecchi il teatro è tutto, il rapporto tra attore e pubblico in sala diventa allora per lui l’unica forma possibile di dialogo e di arte. “Il teatro è calore, è vita, ed è l'unica forma d'arte che non si trova su internet” dice spesso a tutti, una filosofia che egli per primo segue scrupolosamente e quando si “presta” al cinema lo fa solo per sceneggiature che hanno una scrittura quanto più vicina a quella teatrale, ovvero pura ed essenziale.
La sua ultima fatica cinematografica lo vede nei panni del coprotagonista del lungometraggio, Miele, diretto da Valeria Golino. La sceneggiatura è tratta da un romanzo di Covacich, ma il personaggio interpretato da Carlo Cecchi rimanda a ben altro.
Sicuramente è presente un richiamo al matematico napoletano di Martone, con la medesima difficoltà di vivere una vita che non appassiona più e da cui non si pretende più nulla; e ai più attenti non sarà sfuggita neppure la similitudine con la scelta inaspettata e lucida di Mario Monicelli, che ultranovantenne decide di suicidarsi buttandosi dalla finestra della sua camera di ospedale.
Carlo Cecchi diventa, così, la trasposizione concettuale, teatrale e filmica di uomini veri, reali, tormentati e coraggiosi, almeno a loro modo, e lo fa con tutto il rigore dell’attore novecentesco e la modernità dell’uomo contemporaneo, unendo luci e ombre, interpretazione classica e attualità di linguaggio.
Se pensiamo poi che lui non ama e non ha mai amato definirsi artista ma solo attore si può comprendere quanto per lui recitare non sia soltanto una professione ma la passione che guida le sue scelte e lo fa reinventare a ogni nuova interpretazione e a ogni nuovo personaggio.
La stessa morte per Carlo Cecchi diventa allora metafora e allegoria da accogliere fino in fondo per dare un senso compiuto alla vita di ogni uomo.
La celebre commedia di Aristofane con l’Ensamble Stabile Fondazione Teatro Due torna in scena fino al 24 marzo al Teatro Elfo Puccini di Milano.
In un periodo di forte instabilità per il nostro Paese, gli attori si interrogano, con comicità e leggerezza, sul ruolo fondamentale che possono assumere la cultura, l’arte, la poesia e il teatro nei confronti della società e delle sue sorti.
“Come si può salvare una città che non sa distinguere il bene dal male?”
Attraverso l’umorismo e l’ironia si cerca di giungere ad una verità, conducendo il pubblico in un viaggio surreale e improbabile lungo gli inferi, al termine del quale risiede la salvezza della polis e forse la risposta che stiamo cercando.
Il classico di Aristofane rappresenta una riflessione sempre attuale: parla di una società in decadimento che sa trovare rifugio nella cultura e nel teatro.
Sta a noi, ora, ritrovare i nostri Eschilo ed Euridipe.
Teatro Elfo Puccini
Corso Buenos Aires 33, Milano
Tel. 02 00660606
Sala Shakespeare
Orari: mar-sab 21:00 / dom 15:30
Durata: 105' con intervallo Prezzi: Intero euro 30.50 Martedì biglietto unico euro 20 - ridotto <25 anni - >60 anni euro 16 - gruppi scuola euro 12
Per acquistare i biglietti: http://www.vivaticket.it/
2013: un anno che passerà alla storia. Dopo che papa Benedetto XVI ha deciso di mollare il colpo e lasciare il potere del suo minuscolo Stato a qualcuno di più giovane, e forse più motivato di lui, il Vaticano salirà agli onori della cronaca per un altro fatto eccezionale: la partecipazione alla Biennale di Arti Visive di Venezia, che si terrà dal prossimo giugno nella bellissima città della laguna veneta.
È la prima volta che la Santa Sede partecipa a questo evento e la cosa ha suscitato non poche polemiche, soprattutto in riferimento alle parole del Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il cardinal Ravasi, che ha deciso di non intaccare i fondi del suo stato, ma di cercare degli sponsor per coprire i costi di questa nuova impresa.
Il tema della manifestazione saranno i primi undici capitoli del primo libro della Bibbia, la genesi, dunque verranno trattati argomenti come la creazione, il valore della coppia, l’amore, il creato, il peccato originale e quindi anche il male, la violenza, il diluvio universale e la figura di Abramo. Tutti temi che già si possono osservare nel più grande e meraviglioso capolavoro dello stato pontificio: la Cappella Sistina. Poco trapela sugli artisti che verranno chiamati e selezionati, pochi di numero, forse una decina, sia uomini che donne, alcuni famosi, altri meno conosciuti. Si parla di Bill Viola, l’artista americano divenuto famoso per i suoi videro, ma anche di Anish Kapoor e di Yannis Kounellis, ma mancano conferme definitive.
Il presidente della Biennale, il dottor Baratta, sembra aver messo a disposizione della santa sede le Sale d’Armi dell’Arsenale, una superficie su due piani di circa 1000 metri quadrati, che necessita di un restauro. Forse in Vaticano utilizzerà uno solo dei due piani e dividerà lo spazio con un'altra nazione. In ogni caso, deve recuperare i soldi del restauro, che spetta alle sedi ospitanti per scelta della Biennale. Le risorse trovate dovrebbero essere investite nel recupero delle sale, che ora versano in precarie condizioni. Ciò garantirebbe al Vaticano l’usufrutto su questi spazi per 26 anni, e spendendo di anno in anno soltanto i soldi per le spese di allestimento.
C’è chi si chiede se tale scelta sia corretta o meno: il Vaticano possiede sul suo territorio moltissime opere d’arte, alcune in cattive condizioni. Non sarebbe forse meglio investire i soldi nel proprio Stato proponendo lavori di restauro, il recupero di opere d’arte, di strutture architettoniche? Non sarebbe meglio pagare, ampliare l’offerta, magari aprendo alla visita al pubblico alcuni palazzi, organizzando un maggior numero di visite guidate anche in ambienti mai visitati prima? Non sarebbe meglio investire i soldi del Vaticano nel Vaticano, dove hanno lavorato alcuni dei maggiori e più famosi artisti del nostro paese, le cui opere attirano ogni anno milioni e milioni di fedeli?
C’è chi si chiede l’utilità di questa scelta, portata avanti con tanta fermezza da monsignor Ravasi. Si dice che per anni abbia cercato di far accettare la candidatura del Vaticano alla Biennale.
Certo, sarà un modo per far conoscere ad un pubblico ampio l’opera di alcuni artisti internazionali, ma niente di più. I soggetti scelti per questa prima Biennale non sono rivoluzionari e neppure un poco originali: la Cappella Sistina li propone da centinaia di anni.
Nel film Passerotti del 1926 una quasi adolescente, minuta e con una lunga treccia bionda, aiuta un gruppo di bambini a sfuggire alle grinfie di una coppia di criminali che schiavizza minorenni dopo averli rapiti. La quasi adolescente è Mary Pickford e in realtà di anni ne ha ben trentaquattro, ha già girato decine di pellicole ed è al suo secondo matrimonio. Tutto questo non ha importanza per gli spettatori dell'epoca che privi di giornali di gossip, social network e internet continuano a vedere nella Pickford la fidanzatina d'America, la perenne adolescente dallo sguardo dolce e dai grandi occhi luminosi e timidi. È così fino all'avvento del sonoro. Mary Pickford è il “cinema muto”. Non solo perché le sue sessanta pellicole sono dei successi internazionali, ma perché la bravissima Pickford esattamente come il suo illustre socio in affari, Charlie Chaplin, in tutta la sua carriera riesce meravigliosamente a scindere il suo “personaggio” cinematografico dalla sua vita privata e reale.
Dopo le prime pellicole di successo dirette dal grande Griffith Mary capisce che il pubblico l'adora, anzi, che ha nei suoi confronti una vera e propria venerazione. I suoi fan sono sparsi in tutto il mondo e lei riceve lettere d'amore e biglietti da ammiratori scritti in lingue differenti. Le donne dell'epoca l'ammirano e la emulano e i suoi film, dove interpreta sempre e solo il personaggio della povera ragazza sola e indifesa, diventano la realtà vera nella mente e nel cuore degli spettatori.
Mary Pickford aveva patito la fame e gli stenti, girando con la compagnia teatrale di famiglia in lungo e in largo per il Canada prima ( dove era nata nel 1892) e per gli Stati Uniti. L’attrice non si monta la testa per il grande successo che la investe. Una volta passata dal teatro al cinema, da donna pratica e realista quale è, decide di sfruttare la sua fama per farsi conoscere e apprezzare anche come donna e soprattutto come imprenditrice. Diventa prima manager di se stessa, contrattando da sola con registi e produttori e facendosi levitare i suoi ingaggi a cifre impressionanti e vertiginose per l'epoca, e poi decidendo di investire i proventi dei suoi film in case di produzione, tra le più prestigiose degli Studios di Hollywood. Tra queste ricordiamo la casa di produzione che fonda con il suo collega e amico Chaplin, altro intelligentissimo imprenditore e produttore dell'epoca.
Charlie Chaplin, fuori dallo schermo e dalla “maschera” cinematografica di Charlotte, è un uomo pragmatico, scaltro, oculato e perfezionista. La sua scelta di condividere una impresa economica con Mary Pickford consacra quest'ultima come la donna più potente e di maggior prestigio del cinema muto internazionale.
Mary, intanto, porta avanti con successo la sua carriera di attrice, contesa dai registi più importanti del tempo, e prosegue in modo gratificante anche la sua vita privata, sposando uomini bellissimi, come lei attori di grande fama del cinema muto.
Con l'avvento del sonoro la Pickford intuisce che la sua epoca è finita. Da donna d'affari astuta quale è decide di ritirarsi dalle scene e di dedicarsi esclusivamente all'impresa cinematografica che rifonda completamente a Hollywood, cambiando di netto la concezione di produzione filmica e facendo entrare gli Studios nell'era moderna del cinema. Con il sonoro venne introdotto il concetto di diffusione e di distribuzione delle pellicole.
Nel 1955 Chaplin vende le sue quote della casa di produzione fondata con Mary e incassa una bella cifra, ma niente a paragone della vendita del rimanente cinquanta per cento da parte della Pickford avvenuta l'anno dopo.
Mary incassa tre milioni di dollari al netto, una cifra astronomica per il 1956.
In realtà a conoscere e apprezzare l'imprenditrice e la manager sono solo gli addetti ai lavori di Hollywood e pochi altri cineasti e registi internazionali. Per il resto del mondo e per i suoi ammiratori più affezionati Mary Pickford resterà per sempre la dolce “Fanciulla del West”, la piccola ragazza con i capelli d'oro e gli occhi color del mare che ha saputo emozionare e commuovere un'intera generazione. La fidanzata ideale dei ragazzi del primo ventennio del '900.
Questa è la vera grandezza di Mary Pickford, ragazza per sempre, che l'American Film Institute considera la star più importante di tutti i tempi.
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