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Ha un cognome difficile da pronunciare ma che ormai non si può non ricordare, così come quell’esile figura contornata da un volto pallido e dai tratti rinascimentali, ora antico nei riccioli d’oro ora improvvisamente trasformato dalla dura intensità di uno sguardo, di un colore e un taglio di capelli dettati dal personaggio di turno. Sono tantissime le donne vissute dentro il corpo di Alba Rohrwacher, rapita subito dai migliori registi italiani dopo una prima formazione teatrale e il diploma in recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, per il quale ha lasciato la natìa Firenze forse senza sapere fin dove il suo talento l’avrebbe portata, quale impegno totalizzante sarebbe diventato il mestiere di attrice. La scelta dell’impegno è evidente nell’amore e nella dedizione al ruolo dimostrata film dopo film, senza concedere spazio alla frivola vanità e all’autocompiacimento: passa dal criptico “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino al surreale dramma soldiniano “Il comandante e la cicogna” con la leggerezza di uno sguardo sottilmente colmo di varietà espressive, prestato a racconti mai banali e lontani dal vissuto. Partecipa alla storia con tutto il peso della sofferenza, della malattia, della mancanza di certezze quando entra nella vicenda di Eluana Englaro raccontata da Marco Bellocchio in “Bella addormentata” o nella disturbata figlia de “Il papà di Giovanna” di Pupi Avati, concedendosi poca leggerezza, lasciando ancora in larga parte inesplorata la vena comica. Non è un percorso mentale ma profondamente carnale, fisico, quello che passa attraverso lo schermo dando alla finzione un carico di verità sempre più netto negli ultimi “Via Castellana Bandiera” e “Con il fiato sospeso”, presentati al Festival di Venezia, percorsi di libertà creativa di una Sicilia piena di contraddizioni, stanca dell’immobilità esistenziale. Alba si tuffa con trasporto da protagonista ancora una volta cogliendo una nuova sfida con se stessa e con il suo lavoro, continuando a costruire una dimensione interpretativa molto più ampia del legame con un set e con una sceneggiatura da eseguire: la forza della ricerca di senso, della motivazione racchiusa tra parole e gesto, penetra e rimane nello spettatore affascinato dalla verosimiglianza, perché un personaggio interiorizzato diventa con naturalezza un altro sé, un modo per parlare delle proprie emozioni senza ricorrere al gossip. Non è l’ultimo fidanzato o la vacanza a Formentera a ricordarci di questa leggiadra e potentissima attrice della nuova generazione cinematografica, è la scelta di incarnare la qualità e l’impegno artistico per crescere consapevolmente nella strada intrapresa.
Sabato 30 novembre, fino al 7 dicembre, apre a Firenze il Festival dei Popoli, giunto ormai alla sua 54esima edizione.
Con la già annunciata anteprima italiana di We Steal Secrets: the Story of Wikileaks di Alex Gibney, documentario sull’ascesa e caduta di Julian Assange, il 30 novembre (al Cinema Odeon, alle 21.30), verrà presentato dalla giornalista Stefania Maurizi, autrice di Dossier Wikileaks – Segreti italiani (Rizzoli). Ma già nel pomeriggio dello stesso giorno (alle 15.00, sempre al Cinema Odeon), l’evento speciale In viaggio con Cecilia, di Mariangela Barbanente e Cecilia Mangini, un on the road girato nell’estate del 2012, su com’è cambiato il territorio pugliese – danni dell’ILVA compresi – da quando, negli anni ’60, la Mangini girava i suoi primi documentari.
Il festival internazionale del documentario, in programma a Firenze dal 30 novembre al 7 dicembre, riserva anche in quest’edizione un’attenzione particolare allo status quo italiano: specialmente la sezione “Panorama” propone diversi titoli rilevanti. Si va da WIP – Work in Progress di Simona Risi (giovedì 5 dicembre, Cinema Odeon, alle 18.15), sulla realtà delle fabbriche in chiusura, sulle due storie parallele di operai, a Trapani e Latina, che si chiudono nelle aziende per protestare contro i licenziamenti, fino a EU 013 – L’ultima frontiera di Alessio Genovese (lunedì 2 dicembre, Cinema Spazio Alfieri, alle 21), sui CIE italiani (Centri di Identificazione ed Esplusione); da Dal profondo di Valentina Pedicini, sulla realtà dei minatori del Sulcis, che ha appena ricevuto al Festival di Roma il Premio Doc It – Prospettive Italia Doc per il Migliore Documentario italiano (domenica 1 dicembre, Cinema Spazio Alfieri, alle 21), a Centoquaranta – La strage dimenticata, di Manfredi Lucibello (30 novembre, Cinema Odeon, alle 18.15), sull'incidente del 10 aprile 1991 tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo.
Non mancheranno nemmeno i titoli musicali, di alcuni dei quali si possono già vedere i trailer sul sito della manifestazione: come Elektro Moskva, di Dominik Spritzendorfer e Elena Tikhonova, sul legame tra tecnologie militari sovietiche e sperimentazione musicale (venerdì 6 dicembre, Spazio Alfieri, ore 21:30), o The Blues According to Lightnin’ Hopkins di Les Blank, sull'omonimo bluesman texano (sabato 7 dicembre, Odeon, alle e 21), anche se il titolo più atteso è Elvis Costello Mistery Dance di Mark Kidel (mercoledì 4 dicembre, Cinema Odeon, alle 22.30).
In programma anche l’evento speciale “Respect Women” con una serie di titoli che riportino l’attenzione sul tema della violenza sulle donne: apre, il 30 novembre, il cinese Mothers di Xu Huijing (Cinema Odeon, alle 16.45), sul controllo delle nascite così come stabilito dalle leggi della Repubblica Popolare Cinese. Per aggiornamenti sul programma e gli eventi collegati al Festival, seguire il sito ufficiale.
Una brutta notizia per i fans di Asaf Avidan, il cantautore israeliano divenuto famoso grazie al remix della sua "One day/Reckoning Song".
Infatti, a causa di improrogabili impegni di promozione all'estero (come recita un comunicato ufficiale girato in rete), il cantante si è visto costretto ad annullare le 4 date italiane del suo mini tour nella penisola:
Martedì 5 NOVEMBRE 2013 – MILANO – TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI Giovedì 7 NOVEMBRE 2013 – FIRENZE – OBIHALL Venerdì 8 NOVEMBRE 2013 – BOLOGNA – ESTRAGON Domenica 10 NOVEMBRE 2013 – NAPOLI – DUEL BEAT
Qui di seguito le informazioni utili riguardo al rimborso dei biglietti già acquistati:
MILANO / TICKETONE / ACQUISTO PUNTI VENDITA: I clienti che hanno acquistato i biglietti presso i punti vendita TicketOne potranno recarsi presso i medesimi punti vendita e chiedere il rimborso dei biglietti entro e non oltre il 3 dicembre 2013.
TICKETONE / ACQUISTO ONLINE: I clienti che hanno acquistato i biglietti sul sito web Ticketone.it verranno contattati direttamente dal customer service e riceveranno indicazioni in merito al rimborso.
ALTRE DATE ED ALTRI CIRCUITI Il rimborso dei biglietti acquistati va richiesto alla prevendita dove il biglietto e’ stato acquistato da oggi fino al 23 novembre.
Per maggiori informazioni su Asaf Avidan:
http://www.asafavidanmusic.com/
https://www.facebook.com/asafavidanmusic?fref=ts
E’ un appuntamento che si rinnova anno dopo anno conquistando sempre più importanza. E’ Pitti Immagine Uomo, la più grande fiera internazionale di moda maschile che viene inaugurata oggi a Firenze: composta da dodici sezioni e più di mille marchi che presentano le loro novità per le prossime stagioni, il salone sarà contorniato da moltissimi eventi fashion che promettono scintille. Dal 18 al 21 giugno la città toscana sarà il centro di riferimento delle nuove tendenze in campo maschile.
Si parte già oggi con una sfilata di giovani emergenti deisgners sostenuta da Polimoda che proporrà 800 outift in un unico defilè . La moda attraverserà tutta Firenze nel vero senso della parola, infatti sempre oggi verro inaugurato uno stand in Piazza Santa Maria Novella riguardante il lino in tutte le sue sfaccettature: ci saranno un casco da moto, sci, una bicicletta, una poltrona, una valigia, una tavola da surf, illuminazioni urbane, una sedia e anche scarpe da tennis e una marinara. Sempre lino, lavorato eccellentemente dai filatori, da toccare, scoprire. Un’esposizione di foto di più di 40 inediti di Sébastien Randé mostreranno l’intera filiera.
Pitti guarda anche al futuro, e quest’anno l’obiettivo punta alla Turchia, di cui verranno presentati i modelli di sette designers proveniente dallo stato ospitato.
La ricerca di nuovi talenti da far emergere nella moda è uno dei punti fermi da sempre per Pitti, e anche quest’anno infatti diversi saranno gli appuntamenti che vedranno i giovani alle prese con sfilate per darsi conoscere ai nomi più importanti del panorama internazionale. Uno dei momenti clou sarà la premiazione del vincitore del concorso “WHO IS ON NEXT? UOMO”per la ricerca di nuovi talenti organizzato in collaborazione con Altaroma e l’Uomo Vogue.
Una settimana di sfilate, incontri, vernissage e chi più ne ha più ne metta per incontrarsi e vedere, toccare, sentire la moda che ci aspetta.
Capita a volte di incontrare persone e cose in grado di farci rivivere ricordi passati e di darci stimoli per idee future.
Michele Chiocciolini è un giovane designer fiorentino che ha debuttato nel Luglio 2011. La sua prima collezione è nata dall’esigenza di trasferire sugli abiti gli sviluppi pittorici della sua creatività, dalla volontà di trasmettere l’idea della ruvidezza che gli era stata suscitata dalle campagne fiorentine. Abiti-giacca che si ispirano ai costumi della campagna e all’eleganza nobile Toscana.
La seta, materiale principale di questa collezione, rappresenta in realtà un concetto ibrido poiché su questa, Michele ha stampato i suoi quadri, alienando così il senso di “leggerezza” della materia, che tuttavia si svela al tatto, viene inoltre accostata a materiali più pesanti creando così forti contrasti materici. Una compenetrazione di mondi diversi: L’eleganza legata all’idea di materiali semplici della tradizione e l’eterna raffinatezza.
Laureato in architettura, ha sempre sentito viva la necessità di evadere sviluppando così sugli ossimori differenti linguaggi visivi e comunicativi. Una ricerca significante di simboli sparsi in tempi remoti e presenti. Un lavoro complesso, che va dalla pittura alla ricerca di oggetti di design selezionato. Michele Chiocciolini è riuscito a creare una vera è propria isola, un luogo nel centro di Firenze dove ogni singolo dettaglio denota cultura e creatività. La consapevolezza del passato e l’amore per le sue espressioni più alte hanno permesso al designer di sviluppare un linguaggio contemporaneo efficace. Dalle “tracce” ai “segni” (culturali ed emozionali) Michele è riuscito a determinare, non soltanto decorazioni, ma un vero e proprio codice visivo.
Perché un’isola? Un’isola è un luogo lontano, che non si incontra per caso. Dove la storia e le maree hanno accumulato oggetti e sogni incontaminati, e dove tutto è preservato con grande attenzione dal tempo. Nell’atelier Chiocciolini, non esiste soltanto la moda e non si parla soltanto di questa. Qui avviene magicamente una ricerca di costume e si sviluppano connessioni complementari che ne fanno un centro di idee e collaborazioni.
Nel 2012 il designer ha dato vita ad una sperimentazione effettuata sul Jersey. Attraverso questo materiale elastico Michele ha applicato l’idea della sobrietà casual su abiti da cocktail, decontestualizzandoli e offrendo nuove interpretazioni che attingono anche all’universo maschile, come le morbidissime giacche bouclè. Interpretare la contemporaneità è cosa assai difficoltosa, si rischia di annientare un’immagine, confonderla o banalizzarla. Attingendo a situazioni tra esse distanti Michele Chiocciolini riesce a portare avanti la sua interpretazione, libera dai tempi e dalle imposizioni.
Nel suo atelier-mondo non c’è nulla di statico. E’ questo un luogo che non vuole assomigliare a nessun’altro luogo, dove nasce la volontà di dar vita ad una nuova bottega fiorentina dove Michele disegna e lavora.
Per lo spring/summer 2013 Chiocciolini propone ispirazioni Pop, con una palette di colori che tocca toni forti, in contrasto tra loro, come il blu il rosso e il bianco. Capi realizzati in Macramè, tubini a manica lunga o corta. Abiti con tagli geometrici, bustini costruiti in differenti parti, unite mediante cinture. L’idea in questo caso è quella dei frammenti di diverse bandiere cucite tra loro. I lunghi abiti da sera sono pensati sui moods di una New York anni ‘80, con riferimenti al più lontano Déco. Particolare e complesso è l’abito corto davanti e lungo dietro con bustino-stella che è ispirato al Chrysler Building. Forte è la volontà del designer di rievocare le forme architettoniche.
Questa attitudine è visibile nei suoi disegni, che nascono da linee nette e geometriche dove tuttavia non restano estranee la morbidezza e la fluidità. Gesti mentali flessibili, emozioni tramutate in oggetti, sogni in materia. Risultati di un grande lavoro e di uno studio complesso dove la ricerca della bellezza futura, si fonda sulla consapevolezza di quella passata!
Photos by:
Angelo Trani
Domingo Nardulli
Giacomo Favilla
Margherita Caldi
La Fondazione Forma per la Fotografia ha inaugurato mercoledì la mostra Paradise del fotografo italo-svedese Joakim Kocjancic, che durerà fino al 23 giugno.
Nelle immagini dell'artista la città di Stoccolma avvolge le figure, con tracce di graffiti, saluti al paesaggio, messaggi da coloro che sono invisibili, catturati dal fotografo che è sia una parte dell'immagine, sia un elemento estraneo a essa, una persona sola che vede oltre la materia e che vuole andare fino in fondo, esplorare l'anima della città e delle persone che la animano.
Paradise offre un tour gratuito nel paese delle meravigliose illusioni, un incontro tra cielo e terra, tra bianco e nero, attraverso fotografie di vita in movimento, tentando di opporre resistenza a ciò che ci distrugge, i poteri e il tempo.
Joakim Kocjancic nasce a Milano nel 1975, dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze e Carrara, si sposta per diverse città europee e consegue un master di fotogiornalismo alla London College of Communication. Nel 2006 si stabilisce a Stoccolma e realizza alcune mostre, trovando la sua ispirazione nella fotografia di strada con riferimenti alla tradizione americana, giapponese e ovviamente al neorealismo italiano. Nel 2009 è membro dell'agenzia fotografica Linkimage ed è stata selezionato due volte al Foto Festival di Roma. Nel 2010 vince in Svezia il premio per la migliore fotografia in bianco e nero.
Dal 29 maggio al 23 giugno Fondazione Forma per la Fotografia Piazza Tito Lucrezia Caro 1 Milano
Info: www.formafoto.it Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 0258118067 0289075419
È il più grande innovatore del teatro italiano,l’unico che è riuscito ad avvicinarsi all’amarezza,al realismo di Eduardo De Filippo, alla sperimentazione e alla ricerca del teatro newyorkese con la stessa intensità e bravura. Carlo Cecchi dichiara di amare Shakespeare sopra ogni altra cosa, di considerarlo il suo unico maestro, ma poi sulle tavole del palcoscenico offre ai suoi spettatori interpretazioni crude e prive di ogni fronzolo del teatro elisabettiano avvicinandosi alla contemporaneità amara e gotica di Carmelo Bene.
Cecchi sa essere magistrale nella prosa radiofonica e nell’interpretazione cinematografica. Incanta con la sua voce profonda e cupa e con la sua gestualità misurata, intensa, essenziale che ha imparato e sperimentato recitando Cechov, Pirandello, Brecht, Moliere.
Carlo Cecchi è il solo attore italiano vivente che sa essere uno e centomila insieme, ma che sa trasformarsi in “nessuno” quando deve dare l’idea del senso stesso dell’esistenza umana.
Per questo registi importanti e internazionali, ma anche autori esordienti come Martone e Valeria Golino si sono affidati completamente a lui quando si è trattato di portare in scena personaggi difficili, attuali e drammaticamente veri.
In Morte di un matematico napoletano Cecchi rivela al pubblico del grande schermo quanto possa diventare tediosa e insopportabile la vita, anche per un razionale e serioso professore di matematica pura.
Il film è una denuncia sociale delle più dure e Carlo Cecchi rende il personaggio di Renato Caccioppoli così reale e orribile da meritarsi il Premio Speciale al Festival di Venezia.
Nel 2007 gli viene consegnato il premio Gassman come migliore attore teatrale, ma Cecchi ha già girato film come Il bagno turco, Arrivederci amore, ciao, Il violino rosso, Io ballo da sola.
Nato a Firenze nel 1939, dove ha cominciato a recitare poco più che ragazzo, si è fatto conoscere dal grande pubblico e dalla critica con Finale di partita di Samuel Beckett, la più grande interpretazione mai stata fatta del protagonista dell’opera in tutta la storia del teatro.
Per Carlo Cecchi il teatro è tutto, il rapporto tra attore e pubblico in sala diventa allora per lui l’unica forma possibile di dialogo e di arte. “Il teatro è calore, è vita, ed è l'unica forma d'arte che non si trova su internet” dice spesso a tutti, una filosofia che egli per primo segue scrupolosamente e quando si “presta” al cinema lo fa solo per sceneggiature che hanno una scrittura quanto più vicina a quella teatrale, ovvero pura ed essenziale.
La sua ultima fatica cinematografica lo vede nei panni del coprotagonista del lungometraggio, Miele, diretto da Valeria Golino. La sceneggiatura è tratta da un romanzo di Covacich, ma il personaggio interpretato da Carlo Cecchi rimanda a ben altro.
Sicuramente è presente un richiamo al matematico napoletano di Martone, con la medesima difficoltà di vivere una vita che non appassiona più e da cui non si pretende più nulla; e ai più attenti non sarà sfuggita neppure la similitudine con la scelta inaspettata e lucida di Mario Monicelli, che ultranovantenne decide di suicidarsi buttandosi dalla finestra della sua camera di ospedale.
Carlo Cecchi diventa, così, la trasposizione concettuale, teatrale e filmica di uomini veri, reali, tormentati e coraggiosi, almeno a loro modo, e lo fa con tutto il rigore dell’attore novecentesco e la modernità dell’uomo contemporaneo, unendo luci e ombre, interpretazione classica e attualità di linguaggio.
Se pensiamo poi che lui non ama e non ha mai amato definirsi artista ma solo attore si può comprendere quanto per lui recitare non sia soltanto una professione ma la passione che guida le sue scelte e lo fa reinventare a ogni nuova interpretazione e a ogni nuovo personaggio.
La stessa morte per Carlo Cecchi diventa allora metafora e allegoria da accogliere fino in fondo per dare un senso compiuto alla vita di ogni uomo.
“Non c’è lusso senza artigianalità” è questo il filo conduttore, il punto di partenza di tutti i progetti del brand, che si sviluppano sulle capacità ed il know-how tecnico che gli artigiani della casa possiedono e si tramandano da generazioni. Da tutta questa esperienza, il cui valore non è quantificabile, nasce uno stile che si snoda superbo sugli altri e ciò che ne risulta è puro lusso contemporaneo contraddistinto sempre da un elemento di rarità e unicità.
Tomas Maier è stato nominato direttore creativo della maison nel 2001. Ha un carattere deciso e appassionato, dedito all’artigianalità, alla sobrietà e alla raffinatezza che lo ha reso l’artefice di un’espansione di gigantesca portata del marchio Bottega Veneta. Prima di proseguire nell’ampia missione di rilancio del brand Maier ha costituito il nucleo di valori su cui edificare una nuova filosofia: materiali di altissima qualità, straordinaria maestria artigianale, funzionalità contemporanea e design senza tempo. Seguendo questi punti fondamentali il designer ha trasformato Bottega Veneta in un marchio che non è soltanto sinonimo di lusso ma più propriamente di una filosofia di vita.
Da quando è arrivato a Bottega Veneta, i progetti si sono moltiplicati e sono stati integrati con la collezione per la casa e la gioielleria.Per salvaguardare la tradizione che contraddistingue il marchio, l'azienda ha fondato nel 2006 a Vicenza una scuola d’artigianato, la Scuola della Pelletteria, con l’obiettivo di incoraggiare e formare una nuova generazione di artigiani in grado di proseguire nel tempo la mission aziendale. Per chi desidera una full immersion nel lifestyle Bottega Veneta, il St Regis Hotel di Roma e Firenze ed il Park Hyatt Hotel di Chicago offrono l’esclusiva ed unica esperienza delle suite Bottega Veneta, scrigni prestigiosi dove il termine lusso è il comune denominatore di ogni dettaglio e materiale. Con tutta una serie di interventi stilistici e strategici Maier tra il 2001 e il 2011 ha incrementato i fatturati del brand dell'800%. Bottega Veneta è riuscita a diventare un marchio globale perché la sua filosofia rappresenta quei valori di preziosità, ricercatezza e gusto per la qualità che sono apprezzati in tutto il mondo. Trovare tutto questo in un prodotto che è anche funzionale e molto spesso privo di logo, lo rende effettivamente testimone di una filosofia, una sfida contro il tempo e le massicce produzioni logate, che poco a poco sviliscono l’idea del gusto e gli ideali della bellezza pura.
“La mia principale fonte d’ispirazione è l'arte, ma anche la natura, la storia e in realtà tutto ciò che mi circonda. A volte per iniziare a disegnare, a mettere mano a uno schizzo che poi diventerà un'intera collezione, mi basta innamorarmi di un colore. Non mi sono mai preoccupato di trovarmi senza ispirazione, senza idee. Però è sicuramente una sfida quella di avere ritmi sempre più serrati e allo stesso tempo mantenere una coerenza creativa. Una cosa che mi aiuta è visitare un museo o qualsiasi altro luogo affascinante ci sia nei posti in cui mi trovo per lavoro.”
Il gesto intellettuale di Maier nasce dalla ricerca di ciò che lo circonda, dall’interpretazione ispirata dei tempi e dei luoghi, reali e metafisici, e tutto questo confluisce e poi sboccia nelle sue creazioni, assolutamente timeless, dove mitiche donne solcano scenari eterei eppure reali, svelando una sensualità ricca di dettagli e contemporaneamente semplice, senza abusi, senza timori, una donna consapevole della sua unicità creativa, individuale ma assolutamente connessa con tutto il resto. Non una stampa dunque, e neppure un taglio, ma un mix di elementi accuratamente studiati e disposti dipingono e scolpiscono di volta in volta un profilo che sembra quasi destare lo stupore di un’opera d’arte contemporanea in movimento. Fondendo elementi di tradizione e innovazione il designer è riuscito a determinare il potenziale, ogni volta espresso a pieno di uno stile senza tempo. Una vetta del lusso, della bellezza colta, che non conosce frontiere e accoglie eletti in tutto il mondo.
Per la collezione Autunno/Inverno 2013-2014 di Bottega Veneta Tomas Maier ha presentato una linea, che è allo stesso tempo informale e lucidata. Ha portato sulla passerella outfit scultorei che enfatizzano la silhouette di volumi, capi pronti a sfidare i climi della prossima stagione fredda. Cavallo di battaglia dell’intera collezione è il panno di lana, tagliato a vivo o infeltrito attraverso il quale si delineano nuovi corpi e magiche proiezioni. Cuciture a vista incidono i materiali, unendo i lembi con giochi di chiaro-scuro. La flanella si accosta alla seta e al raso in contrasti di grezzo e leggero. Si tratta di una costruzione complessa, l’aspetto generale evoca l’idea della trasformazione, e il risultato è davvero la scoperta dell’inaspettato. Elegante è la palette cromatica che pur eleggendo il nero come colore della stagione, si spezza poi con l’avorio, il rosso ciliegia, il tabacco e le sfumature dell’ocra e del senape. Ricercate le borse in cui si intrecciano sapientemente nappa e pellami esotici con elementi più crudi e contrastanti come la rafia. Ecco come il Direttore Creativo della Maison vicentina riassume questa ultima fatica: “la collezione è incentrata sulla proporzione, la precisione, la facilità e la bellezza semplice della materia”.
Ancora una volta, quello che spicca particolarmente dall’operato di Maier è un abbraccio intellettuale totalizzante, che si diffonde in tutto il suo lavoro. Le modelle in passerella evocano una freddezza sensuale e caleidoscopica, lucida e sublime. La sua unità di visione è propositiva e ci svela nuovamente la capacità di governare un’idea, di realizzarla poi, senza avvilirla grazie alla straordinaria fattura. Tutto funziona perché c’è un motivo, ogni prodotto è proiettato nella visione d’insieme della maison, che raccoglie un abito, una boccetta di profumo e una borsa. Tutto questo ha un senso insieme.
Segnatevi questa data: Sabato 20 Aprile 2013.
Come ogni anno si festeggia il Record Store Day e l'ambasciatore del 2013 è il vecchio e caro Jack White dei White Stripes. Siamo al settimo anno consecutivo e la giornata mondiale dedicata ai negozi di musica indipendente (CD e LP) vuole celebrare gli store in tutto il mondo e conservare l'unicità di questi luoghi dove l'ascoltatore interagisce, ascolta e accumula cultura nel senso più generale possibile.
Per la serie “meglio tardi che mai” a questa settima edizione partecipa anche l'Italia mettendosi in gioco in diverse città: Milano (al Teatro Dal Verme), Torino (al club Astoria), Bologna (alla Cineteca), Firenze (all'Auditorium Flog), Roma (al C.S. Brancaleone) e Napoli (Palazzo delle Arti - PAN). Nella nostra Milano al Teatro Dal Verme, dalle 19:00, ci sarà una “piazza musicale” dove si potrà acquistare e scambiare musica indipendente seguita dall’incontro condotto dal giornalista e critico musicale Enzo Gentile con il cantautore/presentatore Enrico Ruggeri, lo scrittore Aldo Nove e il giornalista/dj/autore Luca De Gennaro.
Una cosa che accomunerà tutte e sei le città italiane c'è: la proiezione di 'Last Shop Standing - The Rise, Fall and Rebirth of the Independent Record Shop' di Pip Piper ispirato dal libro omonimo di Graham Jones. Nella pellicola viene raccontata l'ascesa dei negozi di dischi (dagli anni '60 agli '80), la nascita del rock'n'roll, del punk, delle influenze delle charts musicali sulle vendite fino alla nascita di un supporto che ben conosciamo: il Compact Disc. Paul Weller, Billy Bragg, John Marr e il noto produttore della EMI Tony Wadsworth sono alcuni dei protagonisti che potrete ammirare durante il film.
Cosa state aspettando? Cercate il negozio più vinico a casa vostra (vi consiglio di guardare QUI nella pagina ufficiale dell'evento), controllate se i vostri cantanti/musicisti preferiti hanno in serbo qualche ristampa o un nuovo disco/split e godetevi il 20 Aprile. Se amate la musica e il concetto di cultura, non mettetevi a fare i rozzi pirati senza scopo se non quello di arricchire il vostro hard disk, godetevela ma contribuite anche voi.
Andrea Facchinetti
Forse uno degli artisti più controversi che la storia mondiale ricorda nell'ultimo secolo. Un artista che ha sconvolto molti con fotografie a dir poco provocatorie e che ha lasciato un segno indelebile, seppur breve, nelle generazioni a venire.
Robert nasce nel 1946 da una famiglia cattolica, crescendo con altri 5 fratelli; sin dall'adolescenza capisce che le sue attenzioni sessuali non sono rivolte al sesso femminile e questo lo porta, con gli anni, ad osservare e a vivere il mondo del sadomaso americano. Siamo nella metà degli anni 60, l'artista non ha nemmeno 20 anni e si rifiuta di accettare le sue inclinazioni; conosce Patti Smith e i due diventano amanti. Questo rapporto sarà forse il più importante della vita dell'artista e lo accompagnerà fino alla sua morte, nel 1989. Le conoscenze che fece negli anni delle rivoluzioni studentesche e delle lotte per liberare l'omosessualità lo portarono a produrre i suoi primi scatti; tra questi è doveroso menzionare la copertina del primo album di Patti, "Horses".
La sua fama crebbe grazie a curatori che lo finanziarono e al suo storico amante, Sam Wagstaff, che gli permise un diverso stile di vita e gli regalò la sua Hasselblad, con la quale immortalò celebrità come Arnold Schwarzenegger, Iggy Pop, Andy Warhol e molti altri e con la quale produsse la sua opera più controversa, "The X Portfolio", una serie di fotografie sadomaso tra le quali un autoritratto con una frusta tra le natiche.
La potenza comunicativa delle opere di questo artista è sconfinata; che si parli di fotografie del copro nudo, di still life, di paesaggi o di ritratti di bambini la purezza e la perfezione sono innegabili. Si può forse affermare che la perfezione sia stata una regola per ogni suo scatto; bianchi e neri quasi eterei, stampati al platino, che si spingono per cercare un punto d'incontro tra scultura e pittura.
Mapplethorpe morì da complicazioni conseguenti all'AIDS alla giovanissima età di 43 anni. Moltissimi fotografi e artisti in genere si sono dichiaratamente ispirati al suo lavoro nel corso dei decenni successivi alla sua morte; continuano anche oggi.
La Robert Mapplethorpe Foundation gestisce le sue opere e promuove la lotta contro l'AIDS. Una famosa esposizione è stata organizzata a Firenze nel 2009; le fotografie dell'artista sono state esposte assieme ai capolavori di Michelangelo nella galleria dell'Accademia.
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