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Oltre 500 richieste di partecipazione e solamente 180 coreografie ammesse, con 120 solisti, ben 45 gruppi e più di 25 passi a due, per un totale di circa 400 partecipanti: questi i numeri della seconda prestigiosa edizione di Italian Dance Award che si è svolta al Teatro Orione di Roma con una sfilata di talenti italiani e internazionali.
“Anche quest’anno Italian Dance Award ha coinvolto le scuole migliori d’Italia - ha dichiarato il direttore artistico Alessandro Rende – e ancora una volta sono molto fiero di aver visto sul palcoscenico grandi qualità e talento e di aver constatato che il lavoro delle scuole di danza italiane è svolto con serietà e rispetto dell’arte della danza”.
La giuria di una seconda edizione brillante composta da nomi blasonati provenienti dai centri di formazione della danza di Monaco, Stoccarda, Milano, Zurigo, Rotterdam, Mosca, Leiria - Ivan Liska (Direttore Junior Company di Monaco), Tadeusz Matacz (Direttore della John Cranko School), Dmitry Povolotsky (Direttore Bolshoi Ballet Academy Summer Intensives e Russian Ballet International), Annarella Sanchez (Direttore del Conservatório Internacional de Ballet e Dança Leiria, Portugal), Pompea Santoro (Direttrice Eko dance Project già Principal del Cullberg Ballet), Maurizio Vanadia (Direttore Accademia Teatro alla Scala), Samuel Wuersten (Co- Direttore del CODARTS di Rotterdam e Bachelor of Contemporary Dance Zurigo) - ha così potuto assegnare i Premi e le borse di studio in Enti e istituzioni prestigiose consegnando delle opportunità importanti per la formazione e la crescita professionale dei ragazzi.
Italian Dance Award va dunque verso la creazione di un’autorevole piattaforma annuale rivolta alle scuole che portano avanti un lavoro serio, qualitativamente elevato e professionale in Italia e in Europa con l’obiettivo di garantire un confronto con uno standard e un profilo di alto livello.
“Il valore di questa manifestazione – continua Alessandro Rende - risiede anche nel coraggio di ammettere solo i migliori attraverso un complesso e lungo lavoro di preselezione.
La mia mission, fin dall’inizio di questo progetto, è stato il confronto all’insegna della qualità.
La danza rappresenta la mia vita oltre che la mia professione: rispetto e serietà sono gli ingredienti essenziali per proporre una manifestazione di valore come Italian Dance Award.
photocredit: italiandanceaward.com
Il cinema è onirico per definizione. Il cinema sogna e soprattutto fa sognare. Certo, tutto vero ma a volte arriva un regista, un autore, un sognatore appunto che rende il meraviglioso mondo onirico del cinema ancora più da sogno e ancora più fantastico.
Il regista, il sognatore si chiama Federico Fellini e ha creato vere e proprie opere d’arte cinematografiche usando poco più che la dissolvenza incrociata e il bianco e nero.
Eppure, da La strada, a Otto e mezzo, da Amarcord a La dolce vita, da Le notti di Cabiria fino ai suoi ultimi lavori come Ginger e Fred e La voce della luna chi si è avvicinato al cinema di Fellini non ha potuto fare altro che amarlo incondizionatamente e sognare con lui.
Federico Fellini nasce a Rimini, una cittadina di provincia che ancora non risente del boom turistico degli ultimi decenni del ‘900 e che si presenta ancora come una località di mare sì ma abitata da i contadini e dagli operai della semplice e affascinante Romagna. Una Rimini dove tutti si conoscono e tutti sanno tutto degli altri. Qui, il giovane Fellini affina l’intelletto e il gusto per i personaggi caricaturali e parodistici di tutte le sue pellicole, nella sua città natale scruta, osserva, prende appunti e confeziona soggetti dal gusto “antico” e grottesco, qui incontra e conosce donne come la Gradisca di Amarcord e come la Carla di Otto e mezzo.
Sposatosi giovanissimo con la non molto affascinante ma superba attrice Giulietta Masina, Fellini ha molteplici amanti tra le attrici che lavorano con lui ma anche tra addette ai lavori e donne comuni ma di bell’aspetto. Restando sempre legato sentimentalmente e professionalmente a sua moglie, protagonista indiscussa di molte delle sue migliori pellicole.
Dal debutto cinematografico con lo Sceicco bianco, interpretato da un giovane ma già riconoscibile Alberto Sordi, fino alla sua ultima fatica, Fellini è sempre stato considerato uno dei più grandi e influenti cineasti della storia del cinema mondiale. Si è aggiudicato quattro premi Oscar al miglior film straniero, per la sua attività da cineasta gli è stato conferito nel 1993 l'Oscar alla carriera, ha vinto per due volte il Festival di Mosca e ha inoltre ricevuto la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1960 e il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1985.
Il segreto di un successo così ampiamente e universalmente riconosciuto poggia sicuramente, come lui ha sempre detto, sulle sue origini romagnole ma anche sulla sua vita nella Capitale e proprio negli anni in cui fare cinema a Roma ti permetteva non solo di conoscere e collaborare con i migliori attori e sceneggiatori ma anche con le più grandi maestranze che il nostro cinema abbia mai avuto. A Roma Fellini, fa radio, inizia a scrivere soggetti e sceneggiature e sposta il proprio “sguardo cinematografico” dalla provincia italiana alla capitale e al suo mondo di lustrini e bella vita. Federico Fellini è estroso, impegnato, creativo ma anche semplice e umile sognatore e la sua dimensione onirica si ritrova in tutto in pellicole eccezionali e celebri come Otto e mezzo, considerato da ogni critico cinematografico un capolavoro assoluto e come La dolce vita, icona del film in bianco e nero italiano e tra le pellicole più conosciute all’estero.
Con questo lavoro Fellini crea e dà alla lingua italiana e internazionale perfino un neologismo: Paparazzi. Da quel momento in poi i fotografi e fotoreporter di costume e società si chiameranno solo così, e in tutto il mondo.
Ultimamente si parla spesso e a sproposito di “eccellenza italiana”. Federico Fellini è la nostra eccellenza, è il nostro orgoglio in Italia e all’estero, è il regista che non ha inventato il cinema ma che ha inventato sicuramente un nuovo modo di fare cinema, a metà e in bilico perenne tra quello che vedono i nostri occhi e quello che ci fa vedere la realtà
Nascere figlia di un artista è cosa tanto bella quanto complicata, crescere come figlia “d’arte” è ancora più difficile, soprattutto se intorno a te tutti sembrano essere portati per la recitazione e la regia.
Il destino di Sofia Coppola sembra scritto e tracciato dalla sua stessa esistenza e quindi la piccola di casa inizia a recitare in piccole parti che poi diventano ruoli sempre maggiori e più importanti e, dato che la recitazione sembra proprio non essere il suo forte, non passa molto tempo perché abbia tutti contro. Certo a una figlia d’arte si perdona anche meno e la carriera di Sofia sembra terminare definitivamente nel 1990 con il suo criticatissimo ruolo ne Il padrino parte III.
La ragazza, però, non ci sta. E non perché è figlia di uno dei più grandi registi di Hollywood, ma perché qualcosa dentro di lei le dice che il cinema è tanto altro e tanto di più.
Allora si mette a scrivere. Confeziona sceneggiature brillanti e originali e cerca di farsi conoscere e apprezzare nel difficile mondo delle star di professione.
E ci riesce. Ottiene premi prestigiosi e riconoscimenti importanti per le sue storie e per il suo grande senso nel raccontarle, e allora Sofia decide che se è brave a raccontare senza una macchina da presa, probabilmente lo è anche con una macchina da presa e decide così di dedicarsi alla regia.
Nascono pellicole come Il giardino delle vergini suicide e Lost in Translation, che oltre a ottenere premi e consensi fanno anche scuola per quello che riguarda il cinema al femminile.
Sofia Coppola capisce che la sua strada è segnata davvero adesso. Che la piccola di casa ha trovato il suo destino e allora si impegna ancora di più. Nel 2010 presenta a Venezia il suo capolavoro assoluto, Somewhere, aggiundicandosi il Leone d’Oro.
Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di successi e di riconoscimenti fino a quest’anno 2013 quando, a giugno scorso, conclude le riprese del suo ultimo film The Bling Ring, attesissimo in Italia e presentato in anteprima a Cannes.
La storia è così realistica e scandalosa da far scrivere ai giornali americani che l’unica regista che poteva narrarla è proprio Sofia Coppola.
La pellicola narra le vicende di un gruppo di ragazzi americani ossessionati dallo stile di vita dei protagonisti di film e programmi televisivi per adolescenti. Tormentati dall’esistenza dei loro idoli allora decidono di prendersi un po’ della loro vita svaligiandogli le case.
Una realtà cruda e per niente filmografica e che sta facendo riflettere l’America sul divismo e sull’ossessione di mettere in piazza la vita dei personaggi famosi.
L’attrice protagonista di The Bling Ring è Emma Watson, la famosa Hermione Granger di Harry Potter, cresciuta anche lei e perfetta nei panni della fan tormentata e della scassinatrice provetta.
Sofia Coppola ha dato ancora una volta prova di essere una grande regista ma soprattutto una superba sceneggiatrice, dimostrando a tutti che il cinema è un universo con mille stanze, aprire la migliore è questione di sintonia.
Belle, bellissime le madrine che nelle ultime edizioni sono state scelte per la Mostra del Cinema di Venezia. E non poteva che essere così. La rassegna cinematografica, tra le più prestigiose del mondo, è sempre stata sinonimo anche di bellezza e di glamour oltre che di buon cinema e di autori indipendenti. Perché Venezia è romantica e fascinosa di per sé e perché arrivarci sapendo che ci sono centinaia di giornalisti e fotografi accreditati è una vetrina con una pubblicità da capogiro.
E allora tutte si affidano agli stilisti e ai truccatori di fiducia per brillare e per emergere su una delle passerelle più importanti a livello internazionale. Lo fanno in tanti. Uomini e donne. Anche quelli che con il cinema hanno poco o nulla da spartire e anche i semisconosciuti che approfittano per mettersi in posa, tanto prima che i fotografi se ne accorgono loro hanno già ottenuto i propri cinque minuti di gloria. È il bello della Mostra. L’appuntamento è glamour e fa gola a molti. Figuriamoci alle madrine dell’evento che ogni anno arrivano più in ghingheri che mai e pronte a sfoggiare il loro sorriso più convincente.
Ma come si diventa madrina di una delle rassegne cinematografiche più importanti?
In realtà nessuno lo sa, ipotizzando si può partire dal presupposto che vengano scelte principalmente perché avvenenti. Molte di loro hanno anche provato a fare cinema, alcune di loro sono anche brave attrici. Kasja Smutniak, ad esempio, è una che si è fatta le ossa sul serio, partendo con piccoli ruoli fino a partecipare a pellicole di grande importanza e ad interpretazioni convincenti e di un certo livello. Nel suo caso, la bellezza non è stato l’unico biglietto da visita per farle rappresentate al meglio un ruolo che con qualche infarinatura di cinema dovrebbe centrare eccome.
Ines Sastre, madrina nel 2005 e Isabella Ferrari madrina nel 2006 possono essere considerate a loro volta due belle che nel grande schermo ci hanno anche saputo fare e che hanno portato a Venezia il loro indiscutibile fascino ma insieme la loro esperienza nel cinema internazionale.
Bellissima anche Vittoria Puccini ma sicuramente non un’attrice da riconoscimenti prestigiosi.
L’edizione 2013 però si ricorderà senza dubbio come quella della madrina supermodella. Eva Riccobono è sicuramente una delle più belle del reame attuale. Ha studiato in america come modella professionista, è bellissima, ha sfilato per le maison più importanti e senza alcun dubbio porterà in Laguna il fascino e l’eleganza giuste per farsi notare e apprezzare dal vasto pubblico. Eva sfilerà con abiti da sogno e con un portamento regale. Farà impazzire i fotografi e i molti uomini presenti alla rassegna cinematografica e probabilmente sarà la madrina più supermodella che Venezia abbia mai visto.
Rimane il fatto che la Riccobono non è affatto una attrice, almeno non nel senso che si può dare alla Smutniak, alla Loren, alla Cardinale, alla Paltrow o ad altre bellissime da cinema e da Oscar. Pertanto, godiamoci le mise e la bellezza della madrina edizione 2013 e auguriamoci che la giuria degli esperti premi con un bel Leone le pellicole migliori.
Ci siamo. Mercoledì 19 giugno ha preso il via uno dei festival letterari nazionali più importanti e attesi, perno culturale della città di Milano ormai da quattordici anni.
Parliamo di La Milanesiana, un progetto di Elisabetta Sgarbi particolarmente ambizioso che si pone l’obiettivo di essere un momento di incontro e dialogo tra i protagonisti internazionali più importanti delle diverse discipline artistiche e della cultura.
Letteratura, cinema, musica, scienza, filosofia e teatro, La Milanesiana vuole abbattere i confini tra i saperi per aprirsi ad un confronto totale, coinvolgendo tutte le espressioni artistiche provenienti da qualsiasi parte del mondo.
Mai come quest’anno il cartellone è davvero ampio e variegato: oltre 160 ospiti internazionali in rappresentanza di ben 18 paesi, artisti pluripriemiati, dai Nobel per la letteratura Wole Soyinka, John Coetzee e Gao Xingjian alla medaglia Fields per la matematica Michael Atiyah, dal Leone d'Oro Marco Bellocchio al Pulitzer Michael Chabon, passando per Umberto Eco, Tvetan Todorov, Amitav Ghosh, Petros Markaris, senza dimenticare la partecipazione di big dal mondo della musica come Gianna Nannini, Morgan, Alice e Michael Nyman. Questi grandi nomi andranno ad animare i 40 appuntamenti tra proiezioni, concerti, letture, spettacoli teatrali inediti e mostre previsti dal 19 giugno al 9 luglio che coinvolgeranno diversi luoghi simbolo della vitalità culturale del capoluogo lombardo. Alle location abituali della Milanesiana come il Teatro Dal Verme, la sala Buzzati del Corriere della Sera, le due biblioteche di Parco Sempione, lo Spazio Oberdan, l’Auditurium HQ Pirelli alla Bicocca e il Teatro Off, si aggiunge la Sala delle Cariatidi e la Sala delle Colonne di Palazzo Reale.
In questa dislocazione si realizza in pieno la scelta della direzione artistica del festival che si orienta verso un sempre più marcato policentrismo, realizzando così un’idea di Milanesiana diffusa e condivisa che insieme all’alta qualità delle proposte riesca a farsi amare dalla società milanese, e non solo.
Il tema scelto per la XIV edizione è il Segreto, che per Estein richiama la complessità della natura e del mondo.
Così afferma Elisabetta Sgarbi: “In un momento in cui la parola d'ordine sembra essere "trasparenza", cerchiamo di indagare il suo opposto, il segreto, nei suoi aspetti positivi, irrinunciabili, poetici, e naturalmente, se gli artisti lo vorranno, anche negativi.”
Grandi nomi, nuovi luoghi, voglia di stupire e affascinare, La Milanesiana propone tutto questo per la XIV edizione, ma.. sarà all’altezza delle aspettative?
Non vi resta altro che scoprirlo
Informazioni al pubblico e programmazione – www.lamilanesiana.it
Teatro Dal Verme – tel. 02 87905
Provincia di Milano – tel. 02 7740.6384/6329
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Antonioni c’è!
Gli ammiratori e gli appassionati del grande Maestro del cinema italiano mi perdoneranno per la citazione sportiva, ma nelle ultime settimane il nostro Bel Paese si è destato dall’indifferenza e dalla poca conoscenza della figura di Michelangelo Antonioni e per fortuna si è ricordato di elargire a uno dei nostri artisti più grandi il giusto riconoscimento nel centenario della sua nascita.
Mostre, come quella bellissima di Ferrara visitabile fino al 9 giugno, cineforum in tutta Italia e pagine di recensioni e amarcord sulle riviste più importanti.
E ci mancherebbe, aggiungo io!
Antonioni è stato per il cinema italiano quello che Bresson è stato per il cinema francese.
Tanto che le pellicole dei due cineasti spesso si sono uguagliate e sovrapposte per tematica e scelte registiche negli anni '60 e '70 del secolo scorso.
Antonioni segna la fine del neorealismo del cinema italiano e lo fa in maniera decisa e da maestro con il film del 1950, Cronaca di un amore. La pellicola riscuote uno sorprendente successo di critica e fa sì che al regista si aprano quasi subito le porte degli ambienti cinematografici italiani che contano. Collabora così con i migliori sceneggiatori e autori del suo tempo e con le attrici più in voga del momento. Il fatto è che Antonioni non è un regista di genere, ma un regista indipendente che gira e realizza solo pellicole importanti, con scene difficili, scelte registiche da maestro e storie assolutamente non commerciali. Eppure e malgrado questo, il pubblico lo premia.
I suoi film sono amatissimi e il botteghino gli dà ragione. Merito della sua indubbia bravura registica, ma merito anche della sua lungimiranza artistica con le quali trasforma l’attrice comica italiana più importante degli anni ’60 in una straordinaria attrice drammatica. Applaudita e osannata in tutta Europa, Monica Vitti è la musa incondizionata di Michelangelo Antonioni che la vuole in pellicole importanti come Deserto rosso, Leone d’Oro nel 1964 ma soprattutto nella sua trilogia dell’incomunicabilità. E così la bionda in calze a rete e gonne attillate dei film con Alberto Sordi si trasforma nella drammatica e bravissima protagonista di pellicole in bianco e nero come L’avventura, La notte, L’eclissi. Per gli appassionati del film di autore e per i critici cinematografici praticamente le pietre miliari del nostro cinema esistenziale.
Negli anni ’70 arrivano i lungometraggi girati in lingua inglese con attori internazionali e la fama di Antonioni si espande e si consolida anche oltre oceano.
Blow-up, sequestrato dalla magistratura per oscenità nell'ottobre 1967, dove il suo pessimismo angoscioso si trasforma nel totale rifiuto della realtà in cui l'uomo vive. Zabriskie Point, incentrato sulla contestazione giovanile, che diventa anche una feroce critica alla società dei consumi e
Professione: reporter con il lungo e celebre piano sequenza finale, dove affronta l'impenetrabilità della realtà attraverso un repentino cambio di identità del protagonista.
Antonioni studia al Centro di cinematografia di Roma negli anni ’40 e subito diventa assistente e collaboratore dei maggiori registi del tempo come Visconti, De Santis, Zavattini; la sua mentalità speculativa e la sua ossessiva ricerca sperimentale lo portano, però, molto presto a percorrere strade e ricerche tutte sue con successi che si mantengono immutabili e duraturi nel tempo e nella storia del cinema.
Tra aprile e luglio di quest’anno chi volesse conoscere Michelangelo Antonioni come artista, regista e autore ha solo l’imbarazzo della scelta tra mostre, rassegne filmiche e convegni.
Il cinema italiano è più vivo che mai!
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