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“La felicità è facile”. Perché sostenerlo se la realtà ci dice continuamente l’opposto?  Massimiliano Nuzzolo ce lo spiega in diciannove racconti brevi o brevissimi, fugaci istantanee di un mondo dove la felicità sembra  non esistere, esiste soltanto l’ironia delle cose che ci accadono: avvenimenti e circostanze spesso capaci di annientarci, talvolta di redimerci. In questo libro, l’autore riesce a raccontare l’umano in tutte le sue sfaccettature, destando in noi le domande e le questioni più profonde, attraverso un caustico humour, dosato alla perfezione, dal taglio raffinato e sorvegliato della sua scrittura. La sua forza sono i contrasti, gli ostacoli, i conflitti. Massimiliano Nuzzolo non provoca, non critica, non accusa, semplicemente racconta, semplicemente si diverte e cerca, riuscendoci, di far divertire anche noi. Quando ci mostra il male è per farci rimpiangere il bene, quando ci mostra la bellezza è per insegnarci a riconoscere ciò che bello non è, e a saperlo quindi evitare. I protagonisti di sembrano avere tutti un’unica certezza: sì, voi leggete e vi divertite, ma di fronte alle miserie dell’essere umano non c’è proprio niente da ridere.

Massimiliano Nuzzolo è nato a Mestre nel 1971. Ha esordito nel 2004 con il romanzo “L’ultimo disco dei Cure”. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie “Tre metri sotto terra” (Coniglio editore). Esperto di musica e di culture giovanili, ha curato la raccolta di racconti. La musica è il mio radar (Mursia 2010). Con Italic Pequod, nel 2012, ha pubblicato “Fratture”.

 

“La felicità è facile”

Massimiliano Nuzzolo

Casa Editrice Italic Pequod

http://www.italicpequod.it/italicpequod/

 

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Dal 31 marzo al 9 aprile Fondazione Cineteca Italiana presenta presso il MIC - Museo interattivo del cinema di Milano, Omaggio a Kim Ki-Duk, una rassegna dei film del regista coreano più conosciuto di sempre.

Sono stati selezionati dodici film del maestro che ripercorrono la sua storia, dagli esordi fino agli ultimi controversi lavori. Un'occasione imperdibile per tutti gli appassionati del genere di assistere a capolavori quali L’isola, racconto surreale degli anni 2000 o il recentissimo Moebius (2013), una sconvolgente storia d’amore che si trasforma in violenza. Non manca il realismo degli esordi con Bad Guy, la prima di una serie di incredibili vicende scritte dal regista dove viene dato molto spazio a gesti e silenzi rispetto ai dialoghi. Ferro-3 invece è il racconto della solitudine di una donna delusa, L’arco, l’ossessione di un vecchio pescatore per una bellissima e malinconica ragazza, Soffio, la passione che sboccia tra una casalinga e un condannato a morte.

Il cinema di Kim Ki-Duk si basa sul concetto di essenzialità, un approccio zen che narra di vicende sospese tra sogno e realtà, dove le azioni umane sono ritratte nelle loro crudeli ma inevitabili conseguenze. Inoltre in alcuni dei suoi capolavori il maestro coreano ha voluto mostrare al pubblico le proprie debolezze raccontando in forma di diario il suo periodo di crisi e di rinascita artistica.

 

SCHEDE DEI FILM E CALENDARIO

Martedì 31 marzo

ore 15 L’arco (2005)

ore 17 Bad Guy (2001)

Mercoledì 1 aprile

ore 17 Arirang - premio come miglior film nella sezione “Un certain regard” del festival di Cannes 2011

Giovedì 2 aprile

ore 15 Ferro-3 – La casa vuota (2004)

ore 17 L’isola (2000)

Venerdì 3 aprile

ore 15 Pietà - Leone d’oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2012

ore 17 La samaritana - Orso d’argento per la miglior regia al festival di Berlino 2004

ore 19 Dream (2009)

Sabato 4 aprile

ore 16 Moebius (2013)

Domenica 5 aprile

ore 19.45 Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003)

Lunedì 6 aprile

ore 19 Soffio (2007)

Martedì 7 aprile

ore 17 Time (2006)

Mercoledì 8 aprile

ore 15 Bad Guy - replica

ore 17 La samaritana - replica

Giovedì 9 aprile

ore 17 Moebius - replica

 

PREZZI:

Biglietto d’ingresso intero: € 5,50

Biglietto d’ingresso ridotto: € 4,00 

Biglietto d’ingresso adulto + bambino: € 6,00

INFO

MIC – Museo interattivo del cinema - viale Fulvio Testi 121, Milano

tel. 02 87242114

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www.cinetecamilano.it

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A Milano Andrea Leccese presenta il suo ultimo libro, Inciucio Forever,  sui volta gabbana (e non solo) della politica nostrana.

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Oggi Nerospinto ha voluto fare due chiacchiere con un giovane scrittore,Filippo Parodi, genovese di nascita, ma milanese d’adozione, che ci parlerà del suo primo libro, La Testa Aspra, edito da Gorilla Sapiens.

Il libro si presenta come una serie di racconti, tutti apparentemente diversi fra loro, ma uniti da un filo rosso che l’autore ci aiuterà ad evidenziare.

Sulla scena si incontrano personaggi diversi, o forse un unico soggetto chiamato in molti modi differenti, che rivivono le esperienze vissute dall’autore, che, a volte, si gettano in conversazioni al limite fra il filosofico e lo psichedelico con altri personaggi/alterego, che fanno un viaggio dentro se stessi e ci invitano ad iniziarne uno anche dentro di noi, aprendoci la strada dove forse non ci eravamo mai resi conto che ne esistesse una.

Come nasce “La testa aspra”?

La collaborazione con la casa editrice Gorilla Sapiens è nata nel 2012, in occasione di un concorso per scrittori di racconti per la pubblicazione di un'antologia dal titolo Urban Noise, dove appunto è presente un mio racconto, Il proprietario. Sono stato scelto insieme ad altri 16 scrittori emergenti. In seguito mi è stato chiesto altro materiale, e dato che la casa editrice pubblica principalmente libri di racconti (il racconto, tra l'altro, è un genere a me molto congeniale), ho continuato a scrivere e ho sviluppato altre storie, partendo anche dalle tematiche di quella che avevo precedentemente inviato, e così è nata La testa aspra. Ogni racconto è una verità frammentata ed ha la volontà di rivolgersi al lettore per offrirgli uno spunto di riflessione

Qual è il fil rouge che collega tutti i racconti, se ne esiste uno?

Tutto il libro racconta di come sia difficile diventare “proprietari” del proprio corpo. Io sollevo una domanda che lascio però aperta: nella costante dicotomia fra corpo e mente, il corpo è uno strumento di cui la mente si serve, oppure è il corpo stesso a sottometterci e noi non possiamo fare niente per dominarlo? Parto da un tema che trovo molto attuale: quello della somatizzazione. Essendo innanzitutto io una persona che tende a somatizzare ogni tipo di problema, iniziando dalla pelle, la deglutizione, fino ad arrivare al comunissimo mal di testa, sono giunto naturalmente a scrivere su queste tematiche, senza per altro approdare ad una vera e propria conclusione, solo cercando di suscitare delle riflessioni. Come si può uscire da questo corpo/ gabbia, che ci costringe a sottostare ai suoi ritmi e non ci permette di prendere il volo? Ho provato ad identificare alcune soluzioni, passando dalla mistica alla meditazione, fino all'approccio opposto della psicoanalisi. Avverto sempre in me la tensione tipica dell’uomo a volersi liberare dal corpo/campo di concentramento, da questo involucro/castigo che sembra inesorabilmente appartenergli, per raggiungere finalmente una dimensione extracorporea.

Ma, perché allora questa testa sarebbe aspra?

Aspra perché complicata, tortuosa, per noi stessi indecifrabile, siamo schiacciati da una razionalità che spesso ci limita senza pietà: forse dovremmo imparare a ridimensionarla, riuscire a farla diventare nostra complice, questa testa aspra.

Quindi, a volte bisogna liberare la mente dal corpo, ma se si obbedisce solo alla propria testa si rischia di vivere una vita complicata, infelice, aspra per l’appunto? Senza un minimo di dolcezza? Cosa dobbiamo fare di questo corpo?

Spesso la testa procede rispetto al corpo nella direzione opposta. Parlo per esperienza personale quando dico che a volte capita che sia proprio il corpo a prendere il sopravvento e ad arrivare a fermare la corsa della testa, costringendola a rallentare, attraverso una serie di sintomi fisici che segnalano che c’è qualcosa che non va in quello che si sta facendo. La prima volta che mi sono davvero trovato in una simile situazione, ho odiato il mio corpo. L’ho odiato perché non mi permetteva più di fare quello che volevo fare, anche se mi rifiutavo in ogni maniera di ascoltarlo, mi stava dando tutti i segnali possibili per dirmi che stavo prendendo delle strade sbagliate. Mi limitava, provocandomi dolore e rabbia. Ora, al contrario, lo ringrazio. E' stato il corpo, in un certo senso, interrompendo la mia vita di un tempo, a portarmi a scrivere questo libro. Pare che il corpo, a volte, comprenda prima della testa!

Ma, esiste una connessione fra il corpo e la testa?

Ci sto lavorando: cerco di vivere molto il mio corpo, di “trattarlo bene”, sentire cosa ha da dirmi, ascoltarlo se pone delle resistenze, fare in modo che la testa aspra non lo manovri eccessivamente, che non mi determini del tutto. Se viviamo troppo con la testa, rischiamo di perdere tante esperienze nella vita. Il corpo può essere uno strumento che ci aiuta ad orientarci sul presente, permettendoci di vivere il momento nella sua preziosa irripetibilità.

Da dove nasce ogni racconto?

Fondamentalmente da dentro. Ma allo stesso tempo sono molto aperto all’esterno: sono per natura un vagabondo, di giorno scrivo, ma la notte sento quasi sempre la necessità di uscire, vedere persone, è da lì che spesso prendo la mia ispirazione. Amo la conversazione con i miei amici e le persone che conosco, ma anche con uno sconosciuto o col fiorista sotto casa, ogni spunto può essere utile per scrivere, ogni esperienza può dare origine ad una storia. Anche la psicanalisi, che pratico da diversi anni, costituisce una grossissima fonte di ispirazione: il lavoro che da tempo porto avanti insieme alla mia analista ha dato vita a molti dei miei racconti. Per scrivere non ho bisogno per forza di isolamento, per esempio di rinchiudermi mesi in montagna per trovare la concentrazione: scrivo soprattutto nei luoghi affollati, nei bar, il Cape Town in via Vigevano, per citarne uno, quasi una seconda casa dove in parte ha preso forma questo mio lavoro.

Cosa significa per te scrivere?

Scrivere, nel caso di questo libro, è stato un po' come esplodere, o meglio smettere di implodere: alcune esplosioni portano vita, premettono all'individuo di esprimersi, e credo che questo possa portare a una grandissima gioia.

Che tipo di scrittore sei? Sei uno che scrive di getto, che scrive di notte o uno che pondera molto?

Sono uno scrittore metodico, direi. Scrivere per me è un lavoro quotidiano: punto la sveglia, scrivo soprattutto al mattino e nel pomeriggio. Ho molta disciplina. Ogni racconto, di media, viene sottoposto a quindici stesure, impiego circa una decina di giorni per concluderlo, mi soffermo molto sulla sintassi, sulla ricerca della parola, dell'aggettivo.

Hai sempre voluto fare lo scrittore?

Si. Avrei voluto fare anche il cantante, ho scritto tantissime canzoni.

E hai sempre ammesso di volerlo fare?

In verità no, la conferma mi è venuta dopo. Penso che scrivere, complessivamente, sia la forma di espressione più congeniale per il mio carattere: rispetto alla musica che ti costringe solitamente a collaborare con qualcuno, la scrittura, almeno nella fase di produzione, può rappresentare una sorta di progetto più autonomo, non bisogna però mai scordarsi che fin dall'inizio non si è da soli, che ci si sta rivolgendo al mondo esterno, prima di tutto a un lettore.

Quindi alla fine cos’è più importante per te: musica o scrittura?

Io trovo che siano due forme molto legate fra loro. Ho iniziato a scrivere canzoni a diciassette anni. Anche adesso sto collaborando con Gino Lucente, affermato pittore, ma anche grandissimo musicista. Abbiamo registrato insieme delle musiche per dei brani del mio libro e adesso stiamo progettando di fare un disco.

Che musica ascolti? Ascolti qualcosa mentre scrivi, magari per trovare l’ispirazione?

Ascolto molta musica strumentale; in particolare, il genere che preferisco ascoltare per scrivere è il Krautrock, una corrente musicale nata in Germania a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta. Alcuni pezzi durano anche 20 o 30 minuti e conciliano perfettamente la scrittura. E’ un tipo di musica per certi versi psichedelico, ipnotico, evocativo, apre la mente.

Hai dei modelli letterari?

Moltissimi … ne cito solo alcuni: Kerouac e tutta la poesia Beat, Manganelli, Buzzati, Saramago, Cortazàr…

Cosa vorresti che rimanesse in chi legge il tuo libro?

Vorrei far pensare, magari lanciare un messaggio, aprire dei passaggi. Vorrei anche che, leggendo il mio libro, altri provassero quella sensazione che a mia volta ho provato io, per esempio con i Sessanta racconti di Buzzati, hai presente quando rimani folgorato da una frase e pensi: “è esattamente quello che avrei voluto esprimere io!”

Nel tuo racconto “La chiave di vuoto” tu parli della ricerca di una chiave che possa aprire tutte le serrature che contengono le risposte alle domande che ci poniamo nel corso della nostra vita. Una chiave che risolva tutti i nodi spinosi. Parli della chiave di pane, della chiave di musica, della chiave di vino, della chiave di abitudine e di tante altre, ma, in conclusione, qual è per te questa chiave?

E' proprio La chiave di vuoto la vera conquista, il vero apri-porta sarebbe non pensare più che debba esistere una serratura e una chiave, non angosciarsi più nel cercarla, un po' come dire vivere il momento, esattamente come ti si presenta davanti.

Oggi vi presentiamo l’opera di un giovane e promettentissimo scrittore che, con la sua prima pubblicazione, promette di stupire e regalare emozioni a tutti coloro che vorranno avventurarsi nel suo racconto.

Carlo Zambotti (classe 1977) , nato a Cavalese ma cresciuto a Milano dove ha studiato filosofia, si affaccia al mondo dell’editoria nel 2000, lavorando come grafico per la rivista Caffelatte e trovando spazio, sempre come grafico e giornalista musicale, in alcuni magazine indipendenti. Grazie a queste esperienze prende la decisione di inseguire il suo sogno, prima che finisca per rimanere uno delle tante speranze intrappolate ogni giorno nei cassetti. Si isola per un periodo per riflettere su se stesso e sul suo personale senso della vita, tutto ciò lo porterà alla pubblicazione del suo lavoro d’esordio.

Il titolo vale più di mille parole: “ Servirà qualcuno che ci legga alla fine”. In questo strano periodo, in cui sembra che chiunque sia in grado di scrivere un libro, in cui chi non ha pubblicato qualcosa rappresenta quasi l’eccezione alla regola, è sempre confortante sapere che c’è ancora qualcuno che lo sa fare davvero, alla vecchia maniera, scrivendo bene.

E' una bellissima collezione quella che ci presenta l'autore, grazie anche al sostegno di una piccola, ma lungimirante casa editrice, Gorilla Sapiens. Non una semplice raccolta di brevi novelle dal ritmo incalzante, ma un universo mutevole e vario, popolato da personaggi eccentrici e meravigliosamente descritti, che si perdono quasi nel metafisico.

Avventure che delicatamente sconfinano nel fantastico, storie dalla natura malinconica che mai scadono nel melodramma, narrazioni colorate da ironia autentica e spietata, ragionamenti logici ferrei e schizofrenie, gioco intellettuale colto, riferimenti letterari alti, cognizione della bellezza, caos organizzato. Tutto questo è la scrittura di Carlo Zambotti.

Voce del narratore che si adatta allo spirito del racconto, gusto della prosa breve e curata, ricchezza di espressioni e possibilità narrative. Arricchito inoltre dalle illustrazioni di artisti di grande talento, questo libro rappresenta un varco attraverso il quale accedere a un universo sempre nuovo e in piena espansione.

Non dite che non vi avevamo avvertiti!

Indira Fassioni

 
La Piccola Cucina Parigina

Ed il tam tam cadenzato del tacco 10 che scandisce il tempo impietoso che vola, trascinandosi con sé la piega fresca della mattina, il trucco ben definito e magari la gonna che, a forza di correre a destra e a manca si disfa un po'.

Guardiamo l'orologio ed in quel breve attimo stiliamo una lunga lista di "cose da fare": passare dalla tintoria, fare benzina, chiamare quella tua amica che ti dice sempre "non ti fai mai sentire" (che ti verrebbe da voler avere poteri  telepatici così, mentre comunichi con chi vuoi solo col pensiero, puoi fare altre mille faccende, magari anche metterti lo smalto decentemente).

Ti sei dimenticata di andare in palestra!? Poco male, magari consideri ' idea di stare un po' con te stessa a casa , col tutone e una tee comoda sotto un cardigan maschile.

Magari, prima passi in libreria…

Questo luogo che ti abbraccia, ti rilassa il cuore e ti coccola con parole giuste lette aprendo un libro preso a caso dallo scaffale.

Non sei sazia, rimarresti in quel luogo tutto il giorno, ma non sarebbe  mai abbastanza il tempo per scoprire tutti i tesori che ne cela.

Edith Piaf di sottofondo, ti catapulti ad immaginarti a Parigi, magari ti vedi specchiata sulla vetrina di un qualsiasi negozio degli Champs Elisée con l'anima leggera, due belle decolté rosse ai piedi ed una Cloche che non ti guasta la piega fresca di coiffeur.

Andar troppo di corsa crea languore, torni alla realtà scoprendoti nel reparto cucina, attirata da una copertina che profuma di Baguette, le pagine sfogliate che sanno di coque au vin, pain pardu e crème brulée, il tutto accompagnato da un corposo Syrah della valle del Rodano.

E' uno di quei ricettari che non puoi non mettere nella libreria, perché fa parte di quelli che saziano gli occhi oltre che lo stomaco.

Rallenta il tempo pagina dopo pagina, perché anche le foto meritano l'attenzione di uno sguardo meno fugace.

Niente di meglio, allora, che portarselo a casa, mettersi sul divano, e con una buona tazza di tisana fumante, gustarselo avvolte da un morbido plaid.

Autore:

Rachel Khoo Foto di David Loftus 32,00 €

288 pagine Formato: 189 x 246 mm Edizione rilegata con copertina rigida e sovraccoperta a colori

Bonne Lecture

Monia Rossi

 

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Se vuoi scriverle: direttore@nerospinto.it

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