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Fa ritorno a Le Cannibale Andy Butler, anima degli Hercules & Love Affair, progetto incarnazione di questo genio poliedrico che sarà in consolle sabato 15 novembre al Tunnel Club di Milano dalle 22,30.
Andy Butler, newyorkese, produttore, discografico, songwriter, dj, leader, fondatore, anima ritmica, mente e braccia degli Hercules & Love Affair è diventato noto nel 2008, anno in cui raggiunse la vetta delle classifiche di tutto il mondo con il singolo Blind. Il sound degli Hercules & Love Affair si distingue per la sua singolarità. Riesce infatti a creare uno stile oldschool basato sui buoni vecchi capisaldi del genere, la disco, il funk e la vera house.
Immaginate la New York degli anni Settanta, lontana parente della città scintillante di oggi, quella fotografata da film come "Inferno" e "Il Maratoneta". Fumo per le strade, mattoni scuri e scantinati polverosi. Il progetto Hercules & Love Affair è figlio di un’epoca scomparsa, che faceva della cultura del suono il suo vanto e orgoglio.
Il secondo album “Blue Songs” ha confermato l’abilità di Andy Butler e ha consentito alla band di aprire la porta del mainstream senza perdere la propria identità. Anche i critici hanno riconosciuto il talento innato degli Hercules & Love Affair con recensioni molto positive.
Ora la band newyorkese sbarca al Tunnel Club per presentare il nuovo disco "The Feast of the Broken Heart", uscito quest’anno.
Come di consueto da questa stagione, Tunnel Club offre la possibilità di acquistare i biglietti in prevendita per l’evento tramite il portale Mailticket Italia. Non solo si può essere sicuri della propria presenza al concerto ma è anche garantito l'accesso preferenziale.
INFO
Le Cannibale
Andy Butler from Hercules & Love Affair
Apertura 22.30
Tunnel Club
Via Sammartini, 30 – Milano (MI)
Liste, info, tavoli:
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Tel. 3498941305
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Venerdi 24 gennaio grande appuntamento in musica presso l'Arci Biko di via Ettore Ponti a Milano.
Il circolo ospita infatti, direttamente dagli Stati Uniti, James Pants, produttore e polistrumentista.
Ma chi è James Pants? Nato negli USA e ora residente in Germania, James riceve il “battesimo artistico” nel 2001 in Texas, quando si avvicina al boss di un’etichetta di culto come la “Stones Throw”, per fargli ascoltare un demo. Di li a poco, Pants viene messo sotto contratto e diventa la “next best thing” della sua etichetta discografica.
Nel 2008 Pants pubblica l’album “Welcome”, a cui fanno seguito due altri progetti, entrambi ispirati da letture mistiche e viaggi psichedelici.
Il successo di James Pants (certificato anche da riviste quali Dazed & Confused) sta nel mixare colori e stili: new wave, rap, groove ed electro boogie.
Quella del 24 gennaio al Biko si preannuncia una serata all’insegna della contaminazione più pura e dell’eclettismo più sfaccettato!
Non perdetela!
Prima e dopo l’esibizione di James Pants, dj set a cura di Turbojazz (Futureground) e DNN (Wellfounded).
Venerdì 24 gennaio dalle 22.30 @ Biko
Via Ettore Ponti, 40 - Milano
Ingresso 10 euro + tessera Arci obbligatoria
https://www.facebook.com/pages/James-Pants/22118677931
La lineup dell’evento Chapeau!, organizzato per sabato 1 giugno da Modalità Demodé e Rosaspinto presso lo Spazio Giulio Romano, si arricchisce della presenza di The Perseverance, dj e producer congolese, ma milanese di adozione.
Marvely Perseverance, già nel progetto AfterMazik, ha iniziato la sua carriera a 16 anni con il suo amico ELTA, dedicandosi a sonorità hip hop, contaminazioni elettroniche, conquistando il pubblico lombardo, senza tuttavia pubblicare nessun album.
Non contento di ciò, Marvely si dedica anche alla danza, diventando ballerino professionista, e crea una serata chiamata Akeem of Zamunda, decidendo di cambiare il suo stage name in The Perseverance.
Akeem of Zamunda, di scena al Rocket Club, mixa basi afro-electro, hip hop, groove, reggaeton, shakerando il tutto con sonorità tipicamente brasiliane.
Il successo non tarda ad arrivare, tanto da portarlo ad esibirsi con artisti del calibro di Afrikan Boy, Girl Unit,The Bug,Dope Boys e TORO.
Al momento, The Perseverance si sta dedicando alla produzione del suo primo EP, non dimenticando di esibirsi dal vivo, come accadrà durante l’evento Chapeau.
Don’t miss it!
Non poteva esistere stagione migliore della primavera, dei primi giorni di sole di un aprile tanto atteso e ancora un po’ indeciso sul da farsi, per cogliere a pieno tutti i colori di “Colonna sonora di un film che non c’è”, ultimo lavoro di Mafè Almeida, in uscita sui canali
iTunes dalla fine di questo mese.
Nato in Mozambico da madre capoverdiana e padre pugliese, Mafè cresce e coltiva la sua passione artistica tra la soleggiata Bari e la stimolante Milano, le due città in cui si concentra maggiormente la sua poliedrica carriera artistica, che affonda le radici in diversi campi d’espressione; pianista e tastierista di diversi gruppi del panorama barese, Mafè si avvicina al mondo del canto grazie al gospel, partecipando al Wanted Chorus e a all’opera musicale di Riccardo Cocciante e Luc Plamondon, “Notre Dame de Paris”, nel ruolo di Clopin.
Si cimenta inoltre nell’attività di autore, collaborando con gli Zero Assoluto alla stesura del testo di “Volano i Pensieri”, nota canzone della band capitolina. Il tentativo di inquadrare un album, e tanto più un artista, in un solo genere musicale, è quasi sempre riduttivo; preferibile è tentare di cogliere i chiaroscuri tratteggiati al suo interno.
“Colonna sonora di un film che non c’è” è un EP di sei tracce, dal groove funk coinvolgente e dalle atmosfere variopinte: dalla freschezza spensierata della pop music, alle sfumature di malinconica speranza della musica black, dal soul all’RnB. Mafè Almeida ama vedere nella sua produzione artistica qualcosa del power pop, principalmente per il messaggio e le energie positive che ne sente fuoriuscire e che si propone di trasmette all’ascoltatore. Abbiamo parlato con Mafè per farci raccontare della sua esperienza, la sua visione della vita e i suoi progetti per il futuro.
Nel corso della tua carriera hai sperimentato molto; sei stato parte di un gruppo, corista gospel, hai recitato in un musical ed ora sei cantautore. Senti in qualche modo queste come tappe di un percorso che ti avrebbe portato dove sei oggi, o le consideri in maniera separata?
Parlare di carriera credo sia prematuro. Amo definirlo un percorso e credo che ogni sua parte abbia in qualche modo influenzato quello che è il mio stile di vita. Ogni esperienza non la vivo come un oggetto separato ma come un elemento con una propria individualità che però vive e ha senso se collegato ad un altro frammento. Sono un po' fatalista e credo nell'idea che nulla sia mai per caso. Lo raccontano gli incontri che ho avuto nella mia vita e quello che sono ora. In fondo siamo sempre le persone che incontriamo e di conseguenza anche le azioni che compiamo.
Oltre alle tue mani di compositore e autore, quali altre hanno collaborato alla realizzazione di “Colonna sonora di un film che non c’è”?
Il disco è stato prodotto da Daniele Valentini con l'etichetta indipendente "Treehouse Lab" di Lodi, mixato negli studi FM di Monza da Raffaele Stefani e masterizzato da Giovanni Versari. Per l’incisione e per i live sono stato aiutato dal gruppo "The White Muffins" , composto da Antonio Galli al basso, Andrea Rossini alle chitarre, Danilo Martello alle tastiere e Marco Carnesella alla batteria.
Per quando riguarda il budget, una parte è stata ricavata raccogliendo delle donazioni con il primo sito in Italia di crowdfunding, musicraiser.com.
Nel titolo dell’EP si possono leggere sentimenti molto diversi, non fosse altro per quel “che non c’è”, che se da un lato rimanda ai colori della nostalgia, dall’altro può essere interpretato come un invito a divenire noi stessi, il nostro film. Tu cosa ci vedi in quelle parole?
Il nome nasce dall'idea che la vita sia composta da piccole tracce che nel loro insieme creano una colonna sonora. Queste accompagnano i gesti quotidiani della nostra vita, che non è altro che un film in divenire. Per questo motivo va intesa come un film che non c'è, ma che più che altro, "esisterà".
Dunque, deviando sui massimi sistemi, credi in qualche cosa di prestabilito e non scritto, o se più per l’idea dell’homo faber, fautore del suo destino?
Come raccontavo prima sono estremamente convinto che le cose non accadano mai per caso. La vita ci lancia continuamente segnali che ci portano verso un determinato cammino. La questione credo vada interpretata con una chiave di lettura ambivalente. Ognuno di noi è artefice del proprio destino nella misura in cui sia in grado di saper interpretare certi messaggi. Del resto poi ci pensa la vita stessa a risponderti se una scelta può essere determinante o meno ed è solo questione di tempo. Forse è una forma positiva di interpretazione della vita. Come se fossimo destinati a più destini uno dei quali si dimostrerà la verità assoluta per noi. E alla fine in un gioco di incastri saremo sia artefici che navi trascinate dalla corrente. Convinto però che prima o poi ad un porto si approderà.
E per quanto riguarda i testi invece? Qual è il fil rouge che li conduce, e dove vorresti che conducessero l’ascoltatore?
I testi si ispirano fortemente a momenti di vita vissuta. Molto spesso sono spunti di riflessione. Quasi un senso di rivalsa per una condotta di vita più aperta al rispetto verso di sé e quindi verso gli altri. Credo che solo amando se stessi si riesca ad amare ed apprezzare tutto quello che ci circonda. Credo ci sia bisogno di fede, nella vita e nei propri sogni, fede verso le persone. Per questo meglio un abbraccio che una stretta di mano. Dici questo perché credi che l’importanza di un abbraccio, agli altri e a se stessi, si sia persa oggi come oggi?
La gente si imbarazza se ti vede come un libro aperto. Certe volte rimane stupita dal grado di civiltà e di apertura mentale di una persona. Anche nel condividere argomenti difficili come il dolore . Difficile dire se non si è più abituati a gesti come un abbraccio. Di sicuro credo bisognerebbe stupirsi di altro e non di questo. Lasciamo sempre meno spazio a quelle piccole cose che fanno l'assoluto per noi. E tendenzialmente arriviamo a pensare di poter bastare a noi stessi, convinti come siamo di poter farcela da soli. Non sono della teoria che bisognerebbe spendere ogni gesto gentile e in modo inappropriato ma che quando si sente il bisogno, di non aver paura di condividerlo. Alla luce di tutto questo, ma soprattutto ascoltando i tuoi testi, la musica sembra essere per te quasi un mezzo per un fine. Credi che trasmettere agli altri un messaggio, sia pure in forma di emozione, sia il compito principale di un musicista, o leggi l’arte più come un percorso individuale di chi la produce?
Il percorso individuale di un musicista è inscindibile dalle emozioni di chi le interpreta. Se da una parte scrivere può aiutare ad esorcizzare i propri fantasmi, quasi come vomitando la propria esistenza, d'altro canto quello che si scrive può essere fonte di ispirazione per chiunque senta vicino una parola piuttosto che una linea musicale. Il resto è solo un atto di crescita personale che sposta determinati parametri di valutazione. La scrittura può evolversi ed essere modellata nel tempo e influenzata da circostanze e situazioni personali. Chi ascolta può semplicemente accompagnare e apprezzare questa crescita oppure rimanerne indifferente. Questo però non sposta l'ago della bilancia. Del perfetto equilibrio tra i due ruoli che io reputo complementari. L'amore è così. Nel tempo due persone sono accanto e si accompagnano mutando nella forma. Accade di non volersi più accanto ma quello che si è seminato è ben visibile. Resta sempre in profondità.
Cosa ti ha spinto finora ad amare cosi tanto la musica, l’amore e l’amore per la vita? E cosa vedi ora nel tuo futuro?
Amo scrivere e amo cantare e nel mio futuro vedo la possibilità di creare un altro album e avere sempre più seguito.
Ho perso mia madre a settembre ed è stata lei ad intuire che potessi amare la musica. Mi ha portato a studiare pianoforte e poi a credere nei miei sogni. Io e i miei fratelli siamo la sua più grande testimonianza e ci teniamo a preservare e condividere la sua memoria e la sua eredità intellettuale. Lei amava la vita e ognuno di noi nel proprio piccolo cerca di farlo. Io spero di farlo attraverso la musica.
Uscito da nemmeno 48 ore “Things”, il primo singolo dei Playmore, ha già un migliaio di visualizzazioni su youtube, ormai indice di gradimento di gran lunga più legittimato della deposta regina MTV. Il videoclip, spiritoso e visionario, ha come protagonista una scimmia-celebrità formato maxi che divide la sua giornata tra valigette piene di banconote (e banane!), cene in ristoranti di lusso, bische clandestine, festini e sesso in ascensore. Le immagini come il testo, dipingono un ritratto sarcastico di una società improntata ai consumi, alla mera trasgressione senza scopo, alla dipendenza dalle dipendenze e dall’esaltazione dagli eccessi. “Our weight in gold, despite our diamonds glow" Bisogna dirlo però, gli anni ‘90-‘00 ormai ce li siamo lasciati alle spalle, e un videoclip ben riuscito non basta più a soddisfare la fame di novità del pubblico più curioso e i The Playmore sono in qualche modo una ventata di novità per il nostro paese. Pochissime sono infatti le band italiane che producano in casa questo genere, il pump rock, così apprezzato soprattutto dalle UK Charts degli ultimi anni.
Definire un genere è sempre un lavoro meschino e complesso, ma tant’è, qualcuno ci prova sempre. Tosti groove di basso, giù pesanti con cassa e rullante, chitarre melodiche ed una voce morbida e calda che spazia da grida potenti a lievi toni cantautorali. Il tutto coronato da qualche accenno di synth a fare da ponte tra un sound rock e la più recente musica dance.
Il progetto The Playmore vede la luce ufficialmente nel 2012, sotto il sole di Napoli, partorito dalle menti di Bro Joe, Marfz, Gian e Pie, (rispettivamente batterista, bassista, chitarrista e voce del gruppo,); all’apparenza un po’ i Resevoir Dogs de noialtri. Il loro primo album, Pump Rock, non ha nulla da invidiare al sound e all’energia dei loro colleghi d’oltre confine, dai Two Doors Cinema Club ai Vaccines, e di tutto quel panorama musicale che si propone di far ballare il pubblico mescolando due mondi all’apparenza così diversi come il rock e la dance, ma collimati in un genere così decisamente riuscito. La loro ambizione? Portare la democrazia nella musica, far riflettere con ironia, far ballare, saltare e divertire nel rispetto della libertà e dell’individualità di ciascuno.
In attesa di scoprire l'intero album di debutto,
Things sarà presentato da martedì 23 aprile attraverso un ricco tour di interviste:
• Martedì 23 aprile, ore 15.00 – The Playmore @ Rai di Napoli con Gino Aveta nel programma "Generazioni a confronto" • Giovedì 25 aprile, ore 00.05 - webmob per l'uscita del video di "Things" • Sabato 27 aprile, ore 13.00 - flashmob c/o Napoli Comicon • Domenica 28 aprile, ore 19.00 – The Playmore Live @ DiscoDays: Fiera del Disco e della Musica
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