Venezia 77: Nomadland vince il Leone d’Oro, regalando esperienze umane e paesaggi dell’anima
"Nomadland", il film annunciato per primo, ma passato per ultimo alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è quello che alla fine trionfa vincendo il Leone d’Oro come Miglior Film.
Le parole (scritte), quelle del libro – inchiesta di Jessica Bruder, Surviving America in The Twenty-First Century, diventano adesso l’esperienza visiva di Chloé Zhao, quella fatta di immagini, luoghi, persone, non professionisti (Linda May, Swankie e Bob Wells), i nomadi moderni, in cerca di se stessi e di ascolto, via dalle loro esistenze – prigione, troppo sedentarie, piena di delusioni, difficoltà e e ricordi.
Nella crisi economica delle fabbriche e aziende, in un paese del Nevada, nel 1988, una donna, Fern, non ha più occupazione. La cerca, impacchetta da Amazon, è un stagionale, ma non smette di fare colloqui. “Mi piace lavorare. Voglio lavorare”, dice ad un certo punto. Fern non ha più accanto l’amore di sempre, il marito Bo, scomparso per via di una malattia, è una donna, oramai in bilico tra rimanere o provare l’avventura di qualcosa di nuovo, raccogliendo ciò che ha di più caro, e partire.
Andando là, “sulla strada”, per ritrovare qualcosa, qualcuno, probabilmente se stessa. Un viaggio di vita e morte, speranze, addi e incontri, di (a)van(guardia) e camper. Nomadland è soprattutto una ripartenza emotiva, in cui, la regista di The Rider (prossima pure ad entrare nell’universo Marvel), torna a toccare il paesaggio fisico, e allo stesso tempo quello dell’anima, delle anime dei suoi personaggi.
Evocando il grande ritratto di frontiera e di ricerca, nello stile epico di Jack Kerouac, e col pizzico temerario di Christopher McCandless (Into the Wild), il film è in realtà un poema pieno di lirismo, impreziosito dalle tante storie che lo compongono, dai valori universali, l’amicizia, il confronto, l’empatia, la condivisione, il desiderio di rinnovarsi.
Chloè Zhao arriva così ad uno dei suoi picchi più belli e pieni di commozione. Solo la quinta regista a vincere il riconoscimento più importante, esattamente dieci anni dopo Sofia Coppola (con Somewhere), si annovera, così, in un ristretto club, da Margarethe von Trotta (Anni di piombo) ad Agnès Varda (Senza tetto né legge) e l’indiana Mira Nair (grazie a Monsoon Wedding).
Dopo il trionfo di Joker, l’America, di ieri e oggi, è di nuovo sulla breccia del racconto morale e umano.
In questo fiume di scoperta, Frances McDormand, produttrice della pellicola, si cala generosamente e alla perfezione, una figura mai doma, coraggiosa, che sa scivolare, oltremodo, in un ecosistema prezioso, e indaga, impara, costruisce il proprio processo di trasformazione. Troppo brava, troppo vera, troppo per chiunque per non pensare, e sarebbe il terzo, di puntare all’Oscar, lei che lo aveva già vinto con Fargo e il ruolo di Mildred Hayes, nello splendido Tre Manifesti a Ebbing, Missouri.
Due protagoniste molto vicine, mai davvero in fuga, semmai ben ancorate ai loro ideali. E in questa esperienza tutta da assaporare, la musica rarefatta di Ludovico Einaudi sancisce la suggestione, portandoci dall’altro lato del sogno americano, che allora prova a prendere forma.
Là, sulla strada, dove ogni cosa sembra essere meravigliosamente diversa.
Info tecniche
Nomandland
Regia: Chloé Zhao
Produzione: Highwayman Films (Chloé Zhao), Hear/Say Productions (Frances McDormand), Cor Cordium Production (Peter Spears), Mollye Asher, Dan Janvey
Durata: 108'
Anno: 2020
Paese: Usa
Lingua: Inglese
Cast: Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Swankie
Dal libro "Nomadland" di Jessica Bruder