A pranzo con Wagyu, il Simposio sulla carne giapponese che ha incantato il mondo
Lo scorso 7 febbraio, presso il ristorante Alice di Eataly Smeraldo a Milano, si è tenuto il Simposio Internazionale sulla carne più pregiata del mondo, la giapponese Wagyu. Un’occasione unica per conoscerla e apprezzarla.
La cultura e la cucina giapponese, con il suo meraviglioso sushi, hanno letteralmente stregato – e continuano a farlo – il popolo italiano e non solo. A testimoniarlo, è una recente ricerca che ha dimostrato che il piatto più ordinato nel 2017 nel nostro Paese è proprio il sushi. Ma forse non tutti sanno che il Giappone non è solo pesce, e ben pochi probabilmente conosceranno la carne Wagyu (dal giapponese "wa": Giappone, e "gyū": bue), una preziosa e tenera carne di manzo “marmorizzata” che si scioglie in bocca e delizia i sensi con il suo originalissimo aroma arricchito da note di cocco e pesca. Si dice che sia la più prelibata e la più pregiata che ci sia al mondo, tant’è vero che il suo prezzo oscilla dai 300 ai 500 euro al chilo.
Il Giappone ne va orgoglioso e per questo motivo, dopo l’incontro a Roma dell’anno scorso, il 7 febbraio il Comitato Giapponese per l’Esportazione di Prodotti Animali Nostrani è giunto anche a Milano per presentare il gioiello alimentare del Sol Levante che appassiona specialisti e gourmet di tutto il mondo.
Grazie alla presenza e alle parole del direttore esecutivo Masahiko Suneya e ai tre show cooking che l’hanno vista protagonista, tra piatti classici e nuove rivisitazioni, giornalisti, chef e food blogger hanno potuto conoscerne la storia, ma soprattutto provare sulle proprie papille gustative l’eccezionale sapore di questa carne che sorprende già alla vista, con la sua texture intersecata da una fitta rete di filamenti di grasso che la rende simile a un marmo pregiato, sua caratteristica principale.
Si narra che i bovini Wagyu siano nutriti a birra, massaggiati dal mattino alla sera e che ascoltino musica classica. Suggestioni leggendarie o molto probabilmente esagerazioni, ma quel che è certo è che tutti i bovini Wagyu hanno una sorta di anagrafe, con tanto di carta d’identità e albero genealogico, che vengono allevati con cura uno ad uno, come fossero membri della famiglia, in mezzo alla natura, dove si nutrono principalmente di erba fino ai 28/30 mesi, e che sono sottoposti a un rigoroso sistema di valutazione e controllo. Ogni allevatore quando nasce un nuovo vitellino, che viene normalmente svezzato con latte artificiale, lo allatta personalmente e lo copre per la notte in modo da proteggerlo dal rigore del freddo invernale.
Forse birra e massaggi possono non corrispondere alla realtà, ma sull’amore che il popolo giapponese nutre per i bovini Wagyu non ci sono dubbi.
Ma perché la Wagyu è così speciale e buona? Il “segreto” della sua bontà risiede in tre elementi: consistenza, gusto e aroma. Tra questi, gioca un ruolo importante soprattutto quell’aroma caratteristico detto appunto “aroma wagyu”, un aroma dolciastro e saporito che ricorda quello delle pesche o della noce di cocco, che diviene percettibile al massimo della sua forza quando la carne viene portata alla temperatura di 80°C. L’alto tasso di acido oleico contenuto nel suo grasso, inoltre, ne rafforza la gustosità.
Durante l’incontro, il direttore Masahiko Suneya ha spiegato che la razza Wagyu pura si può riconoscere da tre elementi: pedigree (l’impronta digitale dei manzi Wagyu è il loro naso), tracciabilità (codice di identificazione a dieci cifre) e sistema di valutazione (qualità della carne). In secondo luogo, la consistenza deve essere morbida, e la bontà della carne si può vedere dalla marmorizzazione dal colore rosso (le fibre muscolari sono umide e sottili) e dalla lucentezza del grasso (il Wagyu, ricco di acidi grassi insaturi, deve sciogliersi in bocca).
Per celebrare quest’opera d’arte gastronomica nata dal clima mite e dalla ricca cultura culinaria del Giappone si sono messi ai fornelli Rubina Rovini (food-blogger e trionfatrice morale della edizione 2016 di Masterchef), Gualtiero Villa (chef di Cucina In) e Ryuji Higashiyama (chef giapponese soprannominato “Master Wagyu”).
Ognuno di loro ha dato la sua personalissima interpretazione di questo straordinario ingrediente. Ognuno di loro ha scritto “dal vivo” alcune pagine di un ricco ricettario gourmet che verrà pubblicato sul sito web del Comitato Giapponese per l’Esportazione di Prodotti d’Allevamento e che ha visto il coinvolgimento di venti food blogger e chef che, con le loro creazioni, hanno dato prova concreta della versatilità della carne Wagyu: perché viene dal Giappone ma non significa necessariamente cucina giapponese. La Wagyu permette, infatti, di rileggere in chiave innovativa e originale anche alcuni classici della tradizione gastronomica italiana. Citiamo ad esempio i Cuoppoloni di Gragnano ripieni di Doriana Tucci, il Wagyu all’amatriciana di Mirko Ronzoni e le piadine con insalata siciliana e tagliata di Wagyu di Gigi Passera.
Ad aprire le danze dello show cooking è stata Rubina Rovini, con il suo antipasto Fumo (Wagyu affumicato con crema di piselli, wasabi, burrata, petali di cipolle e caviale di colatura di alice), poi è stato il turno dello chef Gualtiero Villa, che ha proposto una deliziosa reinterpretazione della nostra mitica carbonara, e a chiudere l’interessante appuntamento gastronomico milanese ci ha pensato lo chef giapponese Higashiyama, che ha preparato un piatto tipico della tradizione nipponica: il Sukiyaki, specialità composta da carne (cotta con sale, salsa di soia e zucchero) e verdure, il miglior modo per gustare la raffinata qualità e il gusto del wagyu.
In Italia la carne Wagyu viene distribuita dal 2009, ma solo nell’ultimo anno e, nonostante un prezzo di “alta gamma”, sta riscuotendo un enorme successo.
Martina Zito