Tesori Nascosti: La cappella Portinari in Sant’Eustorgio
Guardandola oggi, non abbiamo alcun dubbio nel giudicare Milano una città che ama mostrare se stessa. Indiscussa capitale della moda e del design italiano, negli ultimi anni si è aperta con convinzione alle più svariate dinamiche dell’arte contemporanea.
Ma è davvero così? Milano mostra davvero tutto di lei? O forse esiste una piccola parte che tiene gelosamente nascosta, lontana dagli sguardi poco attenti dei turisti e dalle Instagram stories che tanto vanno di moda in questo periodo?
Ebbene sì, la città custodisce i suoi tesori e non ha alcun interesse nel mostrarli a chi non se ne cura. Rimangono delle perle, precluse ai più, che solo se accuratamente ricercate rivelano tutto il loro intrinseco splendore.
Chiunque abbia fatto un giro per il centro di Milano è passato almeno una volta nei pressi di Porta Ticinese e sicuramente si sarà fermato a guardare l’imponente Basilica di Sant’Eustorgio.
Spero che qualcuno, mosso da un impeto di curiosità, sia persino entrato nella basilica per vederne l’interno, in modo da poter ammirare le splendide tre navate, sormontate da una volta a crociera tipicamente lombarda, che compongono la chiesa.
Ma è tutto qui? Basta entrare per alcuni minuti, fare un giro e uscire? Forse no, spesso per vedere davvero qualcosa di speciale bisogna sforzarsi di guardare oltre. Uscendo dalla basilica, senza dover andare troppo lontani, proprio a ridosso della facciata, vedremo un’entrata laterale che ci permette di raggiungere il “Museo della basilica”.
Ecco qui il tranello! Quello che viene definito “museo”, e che spesso allontana i visitatori più pigri, non è altro che l’entrata per il tesoro più grande custodito dalla basilica: la Cappella Portinari.
La Cappella fu commissionata intorno al 1462 da Pigello Portinari, imprenditore fiorentino mandato a Milano da Cosimo de Medici per gestire la filiale milanese del Banco Mediceo. Il modello esterno si ispira alla Sagrestia Vecchia di Brunelleschi e una volta entrati è impossibile non rimanere estasiati dall’esuberanza della componente decorativa: dall’embricatura a tinte digradanti della cupola, al ciclo di affreschi delle pareti, fino al fregio corinzio contornato da angeli in stucco.
Nel guardare il ciclo pittorico della cappella ci sentiamo quasi spaesati e abbiamo bisogno di qualche riferimento per orientarci. Ecco allora che i pennacchi sottostanti al tamburo, quattro Dottori della Chiesa, racchiusi in tondi prospettici, ci indicano la strada da seguire. Il nostro sguardo viene immediatamente catturato dalle Storie di San Pietro Martire affrescate nelle pareti laterali. La luce delle due finestre bifore illumina i quattro affreschi di una luce quasi divina e ci mostra la sapienza prospettica e coloristica di un maestro che ha segnato irrimediabilmente il panorama artistico lombardo, grazie alla sua capacità di sintetizzare questi due aspetti in un’unica rappresentazione.
L’autore di questo ciclo pittorico è Vincenzo Foppa, pittore bresciano a cui viene giustamente attribuito il ruolo di padre del rinascimento lombardo, che nella Cappella Portinari trova la sua consacrazione.
Negli affreschi raffiguranti le storie del martire, Foppa, mostra la sua adesione ai principi prospettici teorizzati da Leon Battista Alberti, utilizzando un unico punto di fuga centrale per unificare spazialmente gli episodi e per dar loro continuità. Inoltre, l’utilizzo dell’architettura dipinta per espandere lo spazio, dimostra la chiara la volontà di creare un’integrazione illusiva tra spazio reale e dipinto.
Ma a differenza della classica resa prospettica fiorentina, dove le linee e la geometria dell’architettura sono le indiscusse protagoniste, la meraviglia degli affreschi della Cappella è la luce, utilizzata tipicamente dal Foppa con tonalità grigio argentee, grazie alla quale l’atmosfera perde rigidità e guadagna senso di umanità, sottolineando le emozioni delle figure e la componente coloristica tanto cara alla nascente scuola lombarda.
Guardiamo per esempio l’affresco San Pietro Martire debella con l’ostia il demonio, si nota subito la resa prospettica verticale dell’affresco, già di per se innovativa rispetto al classico uso orizzontale di quest’ultima, ma è la luce e non la coerenza prospettica a permetterci di apprezzare l’umanità dei personaggi, dandoci la possibilità di concentrarci sui particolari della scena, come l’inaspettata presenza delle corna nella “Falsa Madonna” e del bambino.
Tutto il ciclo di affreschi è permeato da una potenza illusionistica che ben si contrasta con le scene dell’Annunciazione nell’arco trionfale e dell’Assunzione nella controfacciata, creando una narrazione continua con protagonista le storie del santo. La Cappella Portinari, come abbiamo visto, è un tesoro tipicamente milanese, nascosto, solenne, di un’importanza storico artistica incommensurabile, lontano dal volersi mostrare a tutti i costi e riservato a chi vuole davvero conoscere le perle della città. Grazie ad esso sarà più semplice per noi capire da dove è nato il tipico utilizzo della luce con tonalità grigio argentate, che spopolerà nei dipinti lombardi tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.
Spero ardentemente che la visita della Cappella ci dia la spinta per staccare, anche per poche ore, gli occhi dai nostri smartphone e finalmente rimparare ad ammirare le bellezze che ci circondano.
Manfredi Rovella