«Dove finiscono le parole»: Andrea Delogu e il suo piccolo “manuale di sopravvivenza” sulla dislessia
Che cosa significa non riuscire a leggere qualcosa di scritto, anche la frase più semplice e comune? Come ci si sente quando le parole sembrano soltanto segni indecifrabili e oscuri? E cosa si prova a restare sempre indietro rispetto agli altri? A queste ed altre domande prova a dare una sua personalissima risposta Andrea Delogu, una delle più apprezzate conduttrici televisive e radiofoniche degli ultimi anni, nel suo nuovo libro “Dove finiscono le parole. Storia semiseria di una dislessica”.
Il testo, edito da Rai Libri, è stato presentato a Milano domenica 14 aprile presso il Mondadori Megastore di Piazza Duomo, in occasione di un incontro con il pubblico che ha visto la partecipazione, oltre che dell’autrice, anche di Omar Schillaci, in qualità di moderatore, della youtuber e scrittrice Sofia Viscardi e del neuropsichiatra infantile Cristiano Termine.
Nel libro, uscito a distanza di cinque anni di distanza da “La collina” (scritto con Andrea Cedrola per Fandango), Andrea Delogu racconta, con ironia, sincerità e delicatezza la sua esperienza con la dislessia: uno dei più comuni e penalizzanti disturbi specifici dell’apprendimento, tuttavia ancora poco conosciuto ed affrontato.
Accessibile ad ogni fascia d’età, scritto in maniera semplice e scorrevole, il testo presenta la peculiarità di essere stampato con un font ad alta leggibilità (il cosiddetto “EasyReading”), adatto, quindi, anche ai dislessici. Ma, in generale, è una lettura utile anche per chi del mondo della dislessia sa poco o nulla e vuole capirne di più.
Alle 232 pagine che compongono il libro, l’autrice-protagonista affida il racconto del suo percorso e di tutte le tappe che lo hanno contrassegnato: la conosciamo a sei anni, quando si rende conto di non possedere la stessa facilità del suo migliore amico nel distinguere le parole “mamma” e “mucca”; la seguiamo nell’adolescenza, quando a scuola si dimena tra la faticosa stesura di un tema e la difficoltosa risoluzione di un’espressione matematica; ci imbattiamo insieme a lei in maestre non sempre comprensive e nelle preoccupazioni di una mamma che prova a capirla e a darle aiuto; viviamo gli inciampi, i successi, le delusioni e le scoperte di una ragazza che si sente diversa senza conoscerne il motivo. Perché, fino a vent’anni fa, la dislessia semplicemente “non esisteva”.
Andrea Delogu, infatti, ha scoperto di soffrire di questo disturbo solo a ventisei anni.
Fino a quel momento si sentiva molto confusa, non comprendeva la ragione per la quale non fosse in grado di raggiungere gli obiettivi in maniera semplice e naturale, come invece facevano gli altri suoi compagni di scuola.
Come lei stessa ha confessato, «l'etichetta che mi veniva affibbiata era “è intelligente, ma non si applica”… ma non era affatto vero! Pur avendo un’enorme sete di sapere e una gran voglia di imparare, mi sforzavo in tutti i modi ma faticavo enormemente: avevo difficoltà a leggere ad alta voce, avevo problemi di concentrazione nello studio e in classe, avevo una pessima calligrafia e sbagliavo nel comporre parole e frasi».
Un insegnante dei nostri giorni, che ha studiato e conosce i disturbi dell’apprendimento, di fronte a questi segnali non avrebbe dubitato in alcun modo che si trattasse di una ragazza dislessica, non di certo svogliata, e quindi che non avesse dovuto sforzarsi di seguire un metodo che non le apparteneva. Ma si era ancora negli anni Novanta, quando di dislessia, in Italia, non si era mai parlato veramente.
Tuttavia, nonostante una strada apparentemente in salita, più ardua e faticosa da percorrere, Andrea Delogu ha avuto la determinazione e il coraggio di trasformare il suo disturbo in un’opportunità: non si è lasciata abbattere da un'avversità alla quale non sapeva ancora dare un nome e, pur lasciandosi di tanto in tanto sopraffare da un senso di frustrazione, ma senza mai cedere, è stata capace di sviluppare con il tempo metodi alternativi per aggirare l'ostacolo, non senza fatica. E, iniziando a prendere più spazi e tempi per sé e trovando altri “superpoteri” da utilizzare, è riuscita a rimanere al passo con gli altri e a raggiungere piccoli grandi traguardi.
In difficoltà con la parola scritta dei libri, l’autrice è riuscita, in particolare, ad arricchire il suo vocabolario grazie al mezzo di comunicazione più immediato e intuitivo, ossia la televisione: «per me le ore trascorse davanti al piccolo schermo sono state quasi più importanti di quelle passate in classe, perché guardando la buona tv ho affinato il mio lessico con più termini ed espressioni possibili: era come se ci fosse qualcuno che leggesse per me, per cui mi bastava ascoltare per imparare, senza sentirmi penalizzata e svantaggiata».
Arrivare a lavorare in televisione è stato, quindi, per lei un passaggio quasi naturale. Ed in nessun modo la dislessia ha costituito per Andrea Delogu un intralcio ma, anzi, le ha dato la possibilità di essere considerata ed apprezzata: il fatto di non essere costretta ad imparare copioni o di leggere “gobbi”, insomma di non dover stare nei rigidi schemi televisivi, le ha permesso di improvvisare e di affidarsi a tattiche alternative, dando così alla sua conduzione freschezza, modernità ed autenticità. Qualità che, con il tempo, hanno incontrato i favori di un pubblico sempre più vasto.
Anche Internet si è rivelato un altro grande alleato, perché nella rete viene meno il paragone immediato con gli altri: la rete concede tempo, non mette ansia, non dà giudizi. Ma, soprattutto, è stato grazie al web, ed in particolare ad un video su YouTube, che l’autrice ha cominciato a prendere finalmente consapevolezza del disagio che le era stato fedele compagno per tanti anni ed ha iniziato ad informarsi meglio e a scoprire che esistono tecniche e strumenti ad hoc per alleggerire il lavoro di una persona dislessica.
Insomma, per Andrea Delogu la dislessia non è affatto una malattia, ma è un modo alternativo di vedere e comprendere la realtà: è una caratteristica, come tante altre.
Come lei stessa sottolinea, «il problema non è di chi soffre di dislessia ma, casomai, di chi ha il compito di aiutarlo ad apprendere le cose: mi riferisco alla sua famiglia, agli amici, ai compagni di classe e, soprattutto, agli insegnanti, che dovrebbero avere la capacità di affrontare con metodi compensativi in modo differenziato il caso di ogni singolo ragazzo».
In chiusura, l’autrice lancia un incoraggiamento, che sintetizza il messaggio racchiuso nel suo libro: «a tutti quelli che, come me, sono dislessici dico: non mollate mai, andate avanti sempre a testa alta e non credete a chi cerca di farvi sentire sbagliati. Perché non lo siete! Mettete piuttosto da parte il dovervi sentire necessariamente come gli altri per pretendere rispetto, anche e soprattutto per i vostri tempi; perché a chiunque deve essere data la possibilità di inseguire i propri desideri e le proprie passioni».
"Dove finiscono le parole" è, in definitiva, un piccolo “manuale di sopravvivenza”, che si presenta come testimonianza e, al contempo, terapia: è il racconto “semiserio”, ricco di momenti esilaranti e di spunti di riflessione, di una vita né più facile né più difficile delle altre ma, semplicemente, diversa; è la storia emozionante e vera di una bambina che, pur costretta suo malgrado ad affrontare “le discese ardite e le risalite” impostele dalla dislessia, mai avrebbe rinunciato ai propri sogni. E che, una volta diventata donna, con forza di volontà e talento innato è riuscita a realizzare.
Informazioni Utili
“Dove finiscono le parole. Storia semiseria di una dislessica” è disponibile nelle librerie dal 9 aprile. Parte del ricavato delle vendite del libro verrà devoluto ai progetti di AID (Associazione Italiana Dislessia) a favore dei ragazzi con DSA.
La stessa AID ha contribuito a realizzare una breve appendice al libro, con indicazioni sul percorso diagnostico e su come ricevere consulenza e supporto sui disturbi specifici dell’apprendimento.
Annamaria Sarà