Intervista a Benito Ligotti in vista del convegno "Social Control"
Giovedì 12 marzo alle 10,00 si terrà presso l'Aula Magna dell'Università Bicocca di Milano, il convegno dedicato al tema del controllo sociale legato all'uso delle tecnologie digitali, un evento aperto al pubblico che vedrà intervenire filosofi, criminologi, giuristi e pedagoghi dell’Ateneo, tra cui Andrea Rossetti, docente di Filosofia del Diritto e organizzatore dell’iniziativa, con Margherita Zanoletti (Università Cattolica di Milano), oltre a esperti di arte e cultura digitale. Il titolo del convegno,"Social Control", coincide col titolo del progetto artistico di Benito Ligotti a cui la giornata si ispira: un progetto nato oltre un anno fa dall'esigenza di chiedersi come le informazioni che ci scambiamo attraverso Internet, in particolare sui social network, siano usate per perseguire finalità commerciali di cui non abbiamo piena coscienza. Il progetto fa ora tappa in università con un’installazione ad hoc che, inaugurata al termine del convegno, rimarrà aperta al pubblico negli spazi adiacenti all'Aula Magna sino al 16 marzo.
L'artista si è chiesto come quello che pubblichiamo sul web riguardante le nostre vite, possa in un certo qual modo, ritorcersi contro di noi, mettendo alla mercé di chiunque, le nostre informazioni più private. Il web è diventato un palcoscenico sul quale chiunque può esibirsi, e il richiamo di esporsi ed esserci a qualunque costo, può far perdere il contatto con la realtà. La Web Generation ha reso internet parte integrante della sua routine quotidiana, non essendo però totalmente consapevole di cosa significhi condividere l'interezza della propria vita attraverso i canali digitali.
Noi abbiamo incontrato l'artista per saperne di più sulla sua arte e sul messaggio che vuole trasmettere circa l'utilizzo dei social network.
Nerospinto: Come mai hai scelto di non iscriverti a un’Accademia di Belle Arti? E come mai la scelta di studiare Giurisprudenza?
Benito Ligotti: Come ogni adolescente anche io avevo le idee confuse sulla strada da percorrere, in particolar modo per la formazione professionale. Terminato il liceo iscrivermi all’Università doveva essere una esperienza di vita, mentre invece il diritto mi ha interessato progressivamente e mi sono laureato. Dell’Accademia di Belle Arti non avevo una idea precisa di dove mi potesse portare. La verità è che ho sempre considerato la mia forma espressiva artistica come necessità di comunicare, di raccontare qualcosa che non trae linfa da una formazione tecnico pratica, ma contenutistica. Mi sarebbe piaciuto però fare un percorso di belle arti, probabilmente mi avrebbe permesso di usare altri linguaggi espressivi che non ho neanche preso in considerazione.
N.: Ti ispira di più il tuo paese natio o Milano?
B. L.: Quando parliamo di ispirazione ti dico, io la trovo nei pensieri e nelle emozioni interne piuttosto che nei luoghi. Essere qui a Bresso/Milano o a Scigliano dove sono cresciuto, certamente influenza questi pensieri o queste emozioni. Generalmente dipingevo a Scigliano nelle pause che l’Università mi concedeva, ma magari i bozzetti li realizzavo a Milano. Mentre da qualche anno lavoro anche qui sviluppando idee che sono sbocciate in Calabria piuttosto che in un altro posto che ho visitato.
N.: Cosa ha fatto scattare in te la voglia di indagare cosa si intende per “controllo sociale” attraverso il web?
B. L.: Per me è stato naturale quasi fisiologico trattare il tema. Non ho voluto. Ho dovuto. Come tutto i lavori che ho realizzato erano semplici riflessioni, pensieri, idee ed emozioni che dovevano trovare una sponda reale e sono diventati i miei lavori. Il web ormai fa parte di noi quasi come il tempo e lo spazio fisico, dobbiamo tenerne conto: spesso scandisce i nostri tempi e le nostre scelte. Tutti noi, generazione del “tutto è possibile” sappiamo che esiste, ma in realtà non ne abbiamo ancora effettivamente consapevolezza.
N.: Che tipo di controllo sociale esercita un artista?
B. L.: Un artista dovrebbe essere uno specchio che restituisce la realità dei tempi o li anticipa. In realtà poi può anche spiegarli ed interpretarli, ma credo che attualmente l’arte solletichi l’interessi di pochi. Forse perché è poco supportata, spiegata e proposta in luoghi quotidiani.
N.: Qual è la tua posizione come artista nei confronti delle nuove tecnologie e perché?
B. L.: Personalmente credo che la tecnologia abbia migliorato la nostra vita fin tanto che la si usava. Ora è lei che usa noi per raggiungere obiettivi che solo l’uomo in realtà è capace di raggiungere. Ci prestiamo allo sviluppo della tecnologia senza tener di conto che ciò sta significando la nostra decadenza sociale, in tutti i sensi.
N.: Qual è il dialogo tra le tue opere esposte e l'installazione video presentata, realizzata da Raffaele Tamburri?
B. L.: Abbiamo voluto offrire qualche parole oltre alle immagini. L’arte concettuale a volte può aver bisogno di strumenti che ne facilitino la comprensione.
N.: Social control si potrebbe considerare per alcuni versi un'opera d'arte collettiva. Cosa significa per te condivisione?
B. L.: Social control è la testimonianza artistica del nostro valore di insieme. Spesso siamo protagonisti come singoli sul web, ma è solo grazie al fatto che ognuno di noi ci prova. Ci esibiamo perché c’è molto pubblico. In questo modo interpretiamo la nostra verità più intima, quasi come l’antico teatro greco quando le maschere nascondevano il volto degli attori che fingevano la realtà, ora lo schermo e la distanza dagli altri filtrano le nostre verità virtuali per restituire molto spesso verità intime e sincere.
N.: Qual è il confine tra pubblico e privato nella tua opera? Quale confine tra pubblico e privato auspichi nella nostra società?
B. L.: I confini sono stati segnati per impedirci di muoversi liberamente. Oggi invece sembrano non esisterne di fatto. Siamo obbligati a condividere, ad osare, a mostraci. Le informazioni volano libere come la polvere e non possono essere controllate. Ormai non so se si può parlare di confini. Quando un fenomeno positivizza la vita dell’intera comunità è anche difficile contenerla in tutti i sensi.
N.: Con la tua opera sembri voler parlare del concetto di serialità. Come hai usato la ripetizione e perché?
B. L.: Volevo dimostrare il valore di insieme della società, singoli protagonisti che insieme sono uno spettacolo.
N.: Con Social control cosa vuoi smuovere nel pubblico: la mente o le emozioni?
B. L.: Voglio che i protagonisti dell’opera siamo i donatori dell’impronta in forma anonima, ma con la consapevolezza che verranno esposti, è una provocazione che impone qualche riflessione su come, dove e con chi ci esponiamo diffondendo la nostre identità, intesa come nostre informazioni, sul web.
N.: La tua ricerca termina qui o pensi che approfondirai ancora l’argomento? Hai qualche idea sui tuoi progetti/lavori futuri?
B. L.: Io lavoro costantemente sui temi che abitano la mia mente e variazioni, sviluppi e confronti non fanno altro che stimolare la voglia di fare. Il futuro è un aspettativa che deve essere conquistata concretizzando il presente.
Carlotta Tosoni
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