Il Folk, il Village, la delusione e la speranza
I fratelli Coen ritornano al cinema delle loro origini e lo fanno con una pellicola divertentemente amara dove le speranze e i sogni di un giovane e aspirante cantante si scontrano e si fondono con la dura realtà dei sobborghi operai di New York City e la difficoltà di emergere nel mondo dell’arte e della musica dei primi anni Sessanta del Novecento.
In Inside Llewyn Davis, presentato all’ultima mostra del cinema di Cannes, c’è una realtà oggettiva fatta di sacrifici e di speranze e c’è il mondo onirico e intimamente drammatico del protagonista. Due universi che non possono incontrarsi e che sono destinati a rimanere paralleli nonostante la fatica, l’impegno e le indubbie doti artistiche del giovane Llewyn Davis. Gli anni Sessanta al Greenwich Village hanno visto la nascita e l’affermazione della musica folk come genere emblema di una generazione di musicisti e di appassionati, un genere che avrebbe cambiato per sempre la storia della musica internazionale e che avrebbe avuto in Bob Dylan il suo guru più importante.
Il folk, però, nasce da più lontano. Come inno di passione e di speranza ad opera di giovani dei sobborghi operai della City che tra un turno in fabbrica, un lavoro estivo e uno provvisorio arrivano al Village pieni di sogni e speranze ma soprattutto con l’irrefrenabile desiderio di dare una svolta alla loro vita. Figli di operai che sognano il palcoscenico e la loro musica che passa nelle radio più famose d’America.
Llewyn Davis è uno di questi ragazzi. Vive alla giornata, dorme da conoscenti ogni volta diversi che lo ospitano su piccoli e logori divani in altrettanto piccoli e dimessi appartamenti e non riesce a guadagnare neppure un dollaro al giorno. E come per i migliori personaggi ebrei pensati dai fratelli Coen per le loro pellicole è perseguitato da una sfortuna incredibile. Che lo stesso Llewyn ha contribuito a costruire e di cui è in buona parte responsabile.
Fragile, malinconico, introverso e irresistibile, il giovane protagonista riesce a non concludere nulla neppure con il socio musicista con cui parte alla conquista di New York immaginando di suonare in un duo e di conquistare così pubblico e critica. Il socio però lo molla presto e Llewyn rimane solo a gestire la sua vita e la sua ebraicità cercando il successo ma sentendosi in colpa per questo, desiderando essere famoso al più presto ma volendo conservare il suo purismo artistico.
Llewyn è probabilmente uno dei personaggi più infelici e belli mai creati dai fratelli Coen.
Il film è per i nostalgici dell’epoca e anche per chi da contemporaneo ne vuole respirare l’aria più autentica. I registi sono riusciti a riportare fedelmente le ambientazioni degli anni Sessanta, gli studi di registrazione, i locali dove la musica folk spopolava e perfino i tipici appartamenti newyorkesi con le scale antincendio esterne improvvisando un omaggio cinematografico a Colazione da Tiffany facendo anche apparire un gatto che, a differenza dell’altro con la bella protagonsita del film del 1961, riesce a essere più scaltro, fortunato e vincente del protagonsita Llewyn.
È l’amaro di tutti i film intimisti dei fratelli Coen, il loro marchio di fabbrica più famoso e meglio riuscito e che fa di Inside Llewyn Davis la pellicola più struggente dell’ultima mostra del cinema di Cannes. Il protagonsita del film è l’attore Oscar Isaac, ma c’è anche una piccola e divertente parte interpretata da Justin Timberlake che canta in maniera intimista e dolce e che dà al film dei Coen un paio di fotogrammi di commercialità pura.
Inside Llewyn Davis rimane soprattutto un film emozionante dove lo spettatore vive con apprensione e compassione le vicende del protagonsita fino al suo provino più importante dove si esibisce nella ballata triste e intimista davanti al manager che lo liquida con una delle frasi più comiche e irriverenti di tutta la narrazione.
Le speranze non fanno mangiare. L’arte non paga e la musica folk è solo per pochi eletti.
O almeno sembra. Ma non è tutto vero. Llewyn Davis canta, continua a cantare.
In fondo il vero senso della vita rimane quello di essere fedeli al proprio, irrealizzabile, sogno.