Nerospinto saluta "l'artista del colore"
Data la recentissima dipartita di Ottavio Missoni e la conseguente saturazione di notizie da parte dei giornali, noi di Nerospinto abbiamo deciso di parlare di uno degli ultimi, grandi couturier italiani, uno di quelli del gruppo di Valentino, di Armani, di Versace. Uno dei creatori del “Made in Italy”.
Qui non si parlerà di come si è spento serenamente nella sua casa nel Varesotto attorniato da moglie e figli, bensì della sua vita, di quello che era, di quello che non era e del perché oggi noi siamo qui a parlare di lui.
"La lettura è stata basilare nella mia vita. Penso sia come l'amicizia: costa poco e ti dà tantissimo. Con una spesa di pochi euro puoi permetterti il lusso di passare una serata con il signor Voltaire”.
Una questione che vorrei subito sfatare e che non viene detta, ma che percepisco spesso nell’aria, è quella che il marchio Missoni venga visto come una casa di moda “agè” da mamma, da zia, insomma non una marchio all’avanguardia, non un marchio innovativo, non un marchio realmente interessante.
Innanzitutto, tutto questo trend di stampe, di maglioni a fantasie grafiche, di ghirigori, di ninnoli e balocchi, non viene da un qualche esotico marchio straniero, i rombi, non sono una variante cheap delle fantasie tartan scozzesi, né sono stati ispirati da qualche arido professore di filosofia Inglese. Tutto questo mondo viene dalla casa Missoni, da Ottavio Missoni.
Il tutto ebbe inizio grazie anche al fiuto di Anna Piaggi, allora editor in chif di “Arianna” che vedendo uno dei loro maglioni alla Rinascente se ne innamorò e lo pubblico sulla sua rivista nel ’67: pare fosse un maglione di lana intrecciata ad altri materiali con una fantasia a zig-zag e intarsi, un autentico arazzo divenuto capo di vestiario.
Inoltre all’interno della casa Missoni non sono mancati gli scandali, che tuttavia, spesso hanno avuto il merito di accrescere ulteriormente la fama della griffe, portandola a Parigi, l’allora capitale indiscussa della moda e perfino oltreo-oceano, facendo valere a Ottavio Missoni un intero articolo all’interno del Woman’s Wear Deily in cui uno dei suoi abiti venne definito “uno dei vestiti più peccaminosi dell’Art Decò”.
Lo scandalo più famoso e forse il più divertente fu quello che scoppiò alla loro prima sfilata a Palazzo Pitti dove, pare, a Rosita Jelmini, moglie di Ottavio, non piacque il colore dei reggiseni delle modelle, tanto da decidere di mandarle in passerella senza. Peccato che nella sfilata non erano presenti solo pesanti maglioni di lana ma anche bluse e camicie in tessuti più leggeri che, abbagliati dai riflettori, divennero trasparenti.
Vorremmo che passasse il messaggio che Ottavio Missoni e il suo marchio erano anche duro lavoro, un lavoro partito dal suo primo laboratorio-cantina nelle campagne di Varese, un lavoro fatto di ricerca costante di nuovi spunti creativi ed emozionali con un immaginario che spaziava dal Folclore all’Africa, alla sua storia personale, intrisa del nostro paese e dell’amore per sua moglie.
In conclusione, un genio innovativo, un lavoratore e ricercatore instancabile, un creativo.
Rest in Peace.