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La Fabbrica del Vapore a Milano ospita la mostra dedicata al protagonista della pop art americana "Andy Warhol: la pubblicità della forma"

"Ogni cosa ripete se stessa. È stupefacente che tutti siano convinti che ogni cosa sia
nuova, quando in realtà altro non è se non una ripetizione." - Andy Warhol

Questa sembra essere la filosofia dell'artista Andy Warhol, che viene raccontata nella spettacolare mostra aperta a Milano il 22 ottobre 2022 intitolata "Andy Warhol: la pubblicità della forma". Precisamente alla Fabbrica del Vapore sino al 26 Marzo 2023, la mostra presenta oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni - illustrando la vita dell'artista dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro.

La mostra, è promossa e prodotta dal Comune di Milano–Cultura e Navigare, curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW e Hublot, ed risulta essere un viaggio nell’universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno maggiormente innovato la storia dell’arte mondiale.

Andrew Warhola, classe 1928, originario di Pittsburgh, dopo la laurea nel 1949 si trasferisce a New York, trasformando il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei primi anni ’60 è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New Yorker, Vogue e Glamour. L’intuizione che lo renderà celebre e ricco è quella di ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella mente del pubblico. "Thirty Are Better Than One", la sua prima Monna Lisa ripetuta ben trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d’arte, viene trasformata in una opera di tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. 

Eugenio Falcioni, esperto di rilievo di Andy Warhol, collezionista e prestatore nella sua veste  di responsabile di Art Motors spiega - "comprendiamo immediatamente che per l’artista è proprio la quantità a prevalere sull’originalità del soggetto raffigurato: è infatti ripetendo la stessa immagine che egli riesce a portare e mettere in scena il panorama consumistico nel mondo dell’arte: compito dell’artista non è più creare, ma riprodurre”.


Per far questo Warhol adotta una speciale tecnica di serializzazione, con un impianto serigrafico, che facilita la realizzazione delle opere e riduce notevolmente i tempi di produzione. Su grosse tele riproduce quindi moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori: usando immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali o immagini di impatto come incidenti stradali o sedie elettrice, riesce a svuotarle del significato originario. Nel 1962 realizza quindi la serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s, esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles.

Lo stesso fa con i ritratti delle celebrità dell’epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito, Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l'imperatrice iraniana Farah Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer e tanti altri. Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventa un imperativo a conferma del proprio status sociale. Come emblematica è diventata la Gold Marilyn Monroe, conservata al MoMA di New York: una delle donne più affascinanti della storia moderna americana viene qui rappresentata su uno sfondo oro, esattamente come si trattasse di una tavola del Trecento raffigurante la Madonna.

La critica all’inizio stronca questi lavori, non comprendendone l’originalità né la volontà di Warhol di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza del prodotto, in linea con la filosofia consumistica dell’epoca. La sua opera viene vista come un oltraggio all’Espressionismo Astratto, movimento artistico allora dominante negli USA. Lo stesso celebre gallerista Leo Castelli all’inizio non comprende la genialità innovativa del lavoro di Warhol e cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua scuderia.

“Il vero colpo di genio attraverso cui l’artista riuscì a valorizzare definitivamente gli anni ’60 e le nuove forme di comunicazione di massa – sostiene Falcioni – furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati. Queste vennero realizzate da una falegnameria e i bordi vennero serigrafati da Warhol e i suoi assistenti come le etichette originali. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto, celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia dell’arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: “che cos’è l’arte?”. Questo interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere d’arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un determinato contesto storico, in questo caso gli anni ‘60 assieme alle sue innumerevoli novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete. L’evento che rese queste opere tra le più celebri dell’intera storia dell’arte fu la personale dell’artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste sculture furono disposte all’interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra all’altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria d’arte”. 

E’ visitando questa mostra che Leo Castelli si ricrede e comprende l’attualità dell’operazione di Warhol, arruolandolo nella sua scuderia.